Andrea Andreoli, un artista che spazia fra classica, jazz e musica pop

Abbiamo conosciuto e applaudito Andrea Andreoli e il suo fedele trombone durante il concerto organizzato in aprile dall’Associazione Amici di “Zona Nove” presso l’Auditorium Ca’ Granda. È stato un concerto entusiasmante sia per la presenza del maestro Paolo Tomelleri sia per la bravura dei componenti la band.

Ma Andrea abbiamo scoperto essere un niguardese d’adozione e quindi abbiamo voluto conoscerlo meglio. È un giovane dal sorriso schietto e comunicativo, una persona che affronta la vita con grinta e ottimismo, entusiasta soprattutto della sua attività di musicista.

“Mia madre – ci racconta Andrea – ricorda che nel passeggino, quindi da piccolissimo, restavo tranquillo solo quando ascoltavo musica da un mangianastri tanto che appena lo spegnevano piangevo. Volevo musica tutto il giorno. In una fotografia, avevo forse 2-3 anni, mi si vede con un battipanni a tracolla giocare a suonare la chitarra e una volta in una chiesa ricordo di aver avuto la sindrome di Stendhal ascoltando il suono di un organo. Era destino che mi dedicassi alla musica. Ho studiato quindi presso il Conservatorio Verdi di Como e di Milano conseguendo il diploma in trombone classico e un secondo diploma nello stesso strumento nel reparto jazz, doppia specializzazione. Amo tantissimo la musica lirica e sinfonica ma la mia vera passione è il jazz perché la libertà che offre al musicista è indescrivibile”.

“A Milano, come in Italia, è difficilissimo oggi essere assunti stabilmente in orchestre sinfoniche e quasi impossibile proporre jazz, sempre meno sono le possibilità, per cui volendo fare della musica una professione io vivo accettando tutte le proposte, anche quelle che gravitano intorno alla musica cosiddetta ‘commerciale’ cimentandomi in produzioni di musical come “La Bella e la Bestia” e “Cats”, trasmissioni televisive come Zelig o The Voice, incisioni di colonne sonore e jingle pubblicitari. Dal 2012 seguo in tournée la cantante Malika Ayane e con lei ho modo di esibirmi in importanti teatri italiani. È un rimbalzo continuo il mio, che però mi piace moltissimo perché essere stimolato in continuazione, studiare e impegnarmi in esperienze nuove e sempre diverse mi arricchisce”.

Cosa l’attira in particolare nel jazz?

“Mi attira il poter dialogare con gli altri musicisti in tempo reale. Nella classica è tutto già prefissato, nel jazz hai la possibilità di comporre in diretta quello che un compositore farebbe a tavolino con carta, matita e gomma. Puoi esprimere quindi liberamente il tuo pensiero anche se l’improvvisazione non è, come si potrebbe credere, un insieme di note a caso ma una composizione in tempo reale su date armonie con regole precise; è come scrivere una poesia di getto. La tua improvvisazione è comunque influenzata anche dalle persone che suonano con te, dal momento e dal contesto, così lo stesso pezzo ogni volta che lo suoni risulta diverso. Nello scambio e nel dialogo tra gli strumenti si trova l’anima di questa forma d’arte di cui l’Unesco ha riconosciuto il valore artistico e storico dichiarandolo infatti patrimonio dell’umanità perché – questa la motivazione – ‘ha contribuito a promuovere il dialogo interculturale, il rispetto dei diritti umani e la dignità umana’. Nel 2012 è stata anche proclamata dall’Unesco la ‘Giornata Internazionale del Jazz’ che si celebra il 30 aprile in tutto il mondo”.

Cosa ha significato per lei suonare con un grande del jazz come Paolo Tomelleri?

“È una persona speciale anche dal punto di vista umano, di grande umiltà. È stato per me nonno, papà, amico, guida spirituale e maestro. L’ho conosciuto mentre studiavo a Como. Negli anni 2007-2008 partivano i primi corsi di jazz nel Conservatorio e lui era stato chiamato come consulente esterno a insegnare storia del jazz. Quando gli hanno proposto di formare una band, mancando i tromboni, strumento raro, quasi introvabile, ha scelto me che studiavo il trombone classico. Da lui ho imparato molto, ha una cultura pazzesca, un repertorio infinito e conosce più di 1500 pezzi a memoria, una persona incredibile. Mi ha accolto poi nella sua big band e con lui ho mosso i primi passi nel mondo del professionismo musicale. Mi ha fatto crescere e mi ha dato l’opportunità di conoscere e di suonare con artisti come Rudy Migliardi, uno dei migliori trombonisti non solo d’Italia ma del mondo. È stata una scuola continua e averlo incontrato è stata per me una fortuna”.

Lei si è definito un niguardese di adozione. Da quanto tempo vive nel nostro quartiere?

“Sono nato a Caprino Bergamasco, piccolo borgo montano della Valle San Martino, e mi sono trasferito a Niguarda nel 2012 perché ho sposato una niguardese. Mi trovo molto bene nel quartiere, talvolta però mi mancano i grandi spazi e i boschi della mia valle e allora vado nel Parco Nord dove ritrovo la mia dimensione ideale. Proprio nel Parco camminando, correndo e pensando sono nate alcune delle composizioni raccolte in ‘Don’t Give up’, il mio primo disco”.

“Suono, compongo, faccio arrangiamenti e ho in mente un progetto tutto mio al quale per ora purtroppo posso dedicare solo pochissimo tempo. Suonare per me è quasi una medicina della quale non potrei fare a meno. Malgrado le difficoltà, infatti, quando sono su un palco, si apre il sipario e si accendono le luci, dimentico tutto e mi sento felice perché sto facendo qualcosa che mi appaga totalmente”.