Calcaterra, il re delle 100 km: “Correre è la mia vita”

“Incredibile, non ha una goccia di sudore!” Questo il commento di ammirazione rivolto al campione delle ultramaratone, Giorgio Calcaterra, presente il 25 giugno a “La42”, il negozio dei runner di Suzzani, per presentare il suo nuovo libro “Correre è la mia vita”. Siamo al raduno dei podisti per ascoltare la storia del 3 volte campione del mondo della 100 km e 11 volte vincitore della 100 km del Passatore (da Firenze a Faenza scalando l’Appennino).
Prima della presentazione è prevista una corsa di qualche chilometro al Parco Nord. L’andatura alla portata di tutti permette di rivolgere alcune domande a Giorgio che si dimostra subito disponibile: “Il mio allenamento standard prevede 2 sessioni al giorno, alla mattina e all’ora di pranzo, per un totale di 32 km. Il cambio di lavoro, da tassista a proprietario di un negozio per podisti, mi ha agevolato negli allenamenti.” Conclusa la corsa il gruppo si trasferisce al negozio per ascoltare la storia di Giorgio. “In ‘Correre è la mia vita’ ho voluto raccontare la mia storia anche per seguire l’insegnamento di mio papà che sottolineava sempre l’importanza dei ricordi. È infatti grazie anche al suo ‘Diario delle maratone’, dove annotava i dati delle mie corse, che ho potuto scrivere la storia di 34 anni di gare”.
“Nel libro – continua Calcaterra – racconto la storia di un bambino che a 10 anni, dopo la prima gara, si innamora della corsa anche come occasione di festa. Ricordo infatti ancora la gioia all’arrivo al Circo Massimo con papà che mi porta in trionfo e io che mi butto negli stand della Centrale del Latte a caccia di yogurt. È vero che la corsa è uno sport individuale ma come molti podisti sanno, l’arrivo e il ristoro finale, sono un momento di allegria da condividere con tutti i partecipanti. Trentaquattro anni dopo io mi alleno con lo stesso entusiasmo e passione di allora”.
Terminata la presentazione del libro, le domande. A cominciare da come convincere a correre quelle persone che magari per pigrizia rifiutano di muoversi. “Credo che l’esempio che noi diamo come podisti sia già un bel passo in avanti. Trasmettere la nostra gioia dopo una corsa può convincere molte persone a infilarsi scarpette e pantaloncini”. Per chi invece partendo quasi da zero si pone grandi obiettivi come la maratona o addirittura una 100 km? “Intanto credo sia importante avvicinarsi per gradi ascoltando il proprio corpo. Apprezzare sempre quello che si riesce a fare anche se non era l’obiettivo che ci eravamo posti. Io stesso prima di arrivare a correre una 100 km sono partito da distanze inferiori, 5-10-21-42-50 km. In questo modo sono arrivato alla 100 senza “stressare” il fisico e la mente.”
Il discorso si è poi spostato sulla programmazione delle gare di Calcaterra. Tra i campioni del fondo è infatti legge non scritta che per raggiungere i migliori risultati si debbano correre in un anno due, massimo tre maratone. Il campione trasteverino invece tra il 1998 e 2008 ha completato 175 maratone, di cui 31 solo nel 2004. Nel 2000 con 16 gare ha inoltre stabilito il record mondiale di 42 km corse sotto le 2 ore e 20 minuti. “In effetti – conferma Giorgio – pur correndo tante gare sono riuscito sempre a migliorarmi senza subire gravi infortuni. Nel 2000 con 2 ore e 13 minuti (media 3 minuti e 9 sec al km) ho registrato il mio record personale sulla maratona. Un tempo importante (il record italiano è di Stefano Baldini con 2 ore e 7 minuti, ndr) che però secondo alcuni allenatori sarebbe stato ancora inferiore se avessi corso meno gare. Nessuno però ha detto – afferma Calcaterra – che magari avrei fatto meglio se non avessi dovuto guidare il taxi ogni giorno per 8 ore. La cosa che mi ha aiutato in tutti questi anni è stata la preparazione fisica. Ho potuto correre 31 maratone in un anno avendo alle spalle allenamento che prevedono fino a 220 km settimanali.”
In conclusione Calcaterra ha affrontato il tema della lotta al doping “I ragazzi devono sapere che l’utilizzo di sostanze dopanti oltre a essere disonesto può provocare un grande danno alla salute. Senza contare che prima o dopo si viene scoperti. E poi… che soddisfazione può dare vincere una gara barando? Ciò che mi lascia perplesso sono invece le squalifiche che vengono inflitte a chi in sostanza commette una frode. Due anni di allontanamento dalle gare, finiti i quali l’atleta ha anche la possibilità di ritornare in nazionale. Io credo invece che a chiunque venga trovato positivo debba essere vietato il ritorno in maglia azzurra. L’ho dichiarato per il mio ex compagno di nazionale Alberico di Cecco e lo penso anche per Alex Schwazer da quando è stato trovato positivo prima delle Olimpiadi di Londra. Non deve passare il messaggio: ‘Io rischio, tanto se poi mi beccano sconto la squalifica e ritorno a gareggiare’”. Chi si dopa inoltre impedisce a un suo compagno, magari con risultati in apparenza inferiori, ma “pulito”, di vestire la maglia azzurra e partecipare a mondiali e olimpiadi.”