Dina Serlenga, figlia di un anarchico, madre di un’Italia giusta

A un incontro organizzato dalla nostra sezione Anpi per presentare un libro dedicato all’anarchico Pino Pinelli sono stata colpita da una coppia di anziani che seguiva concentrata ed emozionata l’evento. Successivamente ho avuto il piacere di conoscerli e di diventare loro amica. Erano Dina Serlenga e suo marito Ernesto Della Torre. Dina mi ha raccontato la sua storia e quella della sua famiglia. Il padre Nicola nacque a Canosa di Puglia nel maggio del 1911 da genitori agricoltori. Anche per Nicola il lavoro che si prospettava era quello di zappare la terra ma il tempo libero lo trascorreva nella sede degli anarchici di Canosa, già allora centro attivo di militanza. Verso gli anni ’30, come molti meridionali, Nicola si trasferì a Milano in cerca di un lavoro migliore. Ben presto si specializzò alla scuola artigiana in “taglio per calzature” trovando poi un lavoro sicuro presso un negozio ben avviato.

Naturalmente non trascurava la sua fede anarchica, unendosi al movimento milanese. Negli anni ‘30 questo movimento era molto attivo, non solo a Milano ma anche in parecchie città italiane. Manifestavano per le loro idee di rifiuto assoluto della guerra, contro il capitalismo e i regimi militari e fascisti. In questi anni si verificarono tanti arresti di anarchici sospettati di preparare attentati e di militare in clandestinità. Anche Nicola in quegli anni venne fermato più volte e finì in carcere per qualche giorno. Erano arresti chiamati “preventivi”, rivolti maggiormente ai militanti, una pratica repressiva per incutere umiliazioneper far capire che erano controllati.

Quando nacque Dina, nel gennaio del ‘34, Nicola si trovava detenuto a San Vittore. Nonostante a suo carico ci fosse solo l’adesione al movimento, anche per lui ci fu il divieto di usare in strada il bastone e l’ombrello, ma pure di fermarsi a parlare con qualcuno.

Durante la seconda guerra mondiale, con la moglie e le due piccole figlie, Nicola ritornò a Canosa dove la situazione era più “tranquilla” rispetto al Nord Italia. Riprese la sua militanza nel movimento anarchico del suo paese, ma anche li la repressione esercitata dai militari tedeschi era presente. Durante un rastrellamento venne arrestato e inviato nel carcere di Venosa (PZ) e poi al confino sull’isola di Ventotene. Qui conobbe, oltre a Sandro Pertini, persone temprate da anni di militanza clandestina, reduci della guerra di Spagna, estradati dalla Francia, confinati politici di varie estrazioni ideologiche oltre alla numerosa colonia anarchica. Il confronto era aperto e di alto livello. Nicola ebbe così la possibilità di crescere e di rafforzarsi politicamente. In quel periodo il fulcro delle discussioni era maggiormente diretto al metodo col quale sconfiggere il fascismo. Al ritorno a casa Nicola troverà la moglie Angela con i capelli bianchi per lo spavento subito la notte del suo arresto.

Infine, negli anni sessanta e per motivi di lavoro, si trasferì a Brescia dove rimase fino alla fine dei suoi giorni. Anche a Brescia, fedele ai suoi ideali, continuò la sua attività come militante nel circolo anarchico della città. Erano anni in cui gli anarchici subivano ancora forti repressioni. La morte di Pino Pinelli lo scosse e soffrì molto perché lo riteneva un “puro” e un “giusto”.

Dopo il lavoro, il suo tempo era tutto dedicato alla sezione, molto spesso trascurando gli impegni che avere una famiglia comporta. Se ne rese conto e ne parlò alle figlie alla fine dei suoi giorni: “Forse ho speso troppo per l’anarchia”. Alla sua morte sulle riviste “Seme Anarchico” e “‘Internazionale” verranno scritte queste parole: “Perseguitato, antifascista, di temperamento mite, ma fermo nelle convinzioni anarchiche i compagni lo ricordano con fraterno affetto”.

Nel leggere queste parole il viso di Dina si intristisce ma, com’è nel suo modo, subito si riprende e racconta della sua militanza politica, impegnata nelle molte battaglie portate avanti dalle donne dell’Udi (Unione Donne Italiane). Al suo fianco ebbe sempre suo marito Ernesto. Partecipò alle prime manifestazioni contro la guerra in Vietnam, delle quali ricorda la massiccia presenza dei cittadini milanesi. Ma il lavoro più impegnativo fu quello che la vide coinvolta in un lavoro capillare di sensibilizzazione in difesa della pace rivolto ai giovani e alle madri con i figli in età di leva.

Nel ‘71 il suo impegno fu costante nella mobilitazione che porterà ai provvedimenti legislativi di tutela per le lavoratrici madri e per l’istituzione degli asili nido pubblici. Seguì poi nel ‘74 l’impegno per la campagna del referendum sul divorzio. Nel ‘75 di nuovo in piazza per ottenere i Consultori di Maternità in ogni zona. Nel ‘78 arrivarono le lunghe serate di discussione per decidere la linea da seguire riguardo al referendum sull’aborto. Dina, come molte altre donne, fu molto partecipe nel sostenere questo referendum. Il loro slogan esprimeva molto la realtà dei fatti: “L’aborto non è un contraccettivo ma è un trauma per ogni donna”. Nei primi anni ottanta Dina appoggiò pienamente l’apertura dell’Udi a tutte le donne e non solo a quelle legate al Partito Comunista. Infatti in quegli anni era diffuso un sentimento di rivendicazione sociale e di consapevolezza che investì tutte le donne.

E così si trovarono a fianco nelle lotte donne cattoliche, borghesi, casalinghe e perfino dame di San Vincenzo. Dina ricorda le petizioni fatte per abbassare i costi del telefono, della luce e del gas. Inoltre organizzò, con le altre donne del circolo, un mercatino alimentare dove vendevano a prezzi politici generi alimentari di prima necessità (carne, frutta e pasta). Oggi c’è sempre, quando la salute glielo permette, alle iniziative della nostra Sezione Anpi “Martiri Niguardesi” e noi l’accogliamo con l’affetto e la stima che abbiamo per le persone come il padre Nicola e lei, che hanno donato e tuttora donano una parte della loro vita per costruire una società più giusta, democratica e antifascista.