Resilienza al Niguarda, ovvero un cammino verso il sole

La professoressa Elisabetta Turano e il professor Marciano Famiglietti hanno realizzato, con la partecipazione dei ragazzi del reparto di pediatria dell’Ospedale di Niguarda, un lavoro riguardante il tema della resilienza, che indica la capacità di un individuo di trasformare eventi difficili e traumatici in punti di forza. Turano, laureata in pedagogia, opera da molti anni presso la scuola di pediatria del Niguarda e ha scritto diverse opere di poesia e narrativa, tutte incentrate sull’importanza delle relazioni d’aiuto intese come strumento di valorizzazione della parte sana del giovane paziente mentre Famiglietti, laureato in lingue e letterature straniere, da diversi anni si occupa di disabilità e inclusione scolastica e opera da quattro anni come insegnante di lingua inglese presso la scuola pediatrica del Niguarda.
Il libro dal titolo “Resilienza, un cammino verso il sole” raccoglie testimonianze, sotto forma di lettere o di poesia, dei bambini e dei ragazzi, costretti a risiedere per lungo tempo in ospedale. L’attuale lettura sistemico-processuale della resilienza offre grandi opportunità in contesti educativi con lo scopo di rafforzare le risorse dei bambini e aiutarli a scoprire la propria singolare nota. Cos’è la resilienza? Perché parlarne? Come contribuisce la scuola in ospedale ad affrontare e superare l’evento traumatico della malattia? “Sono solo alcune delle domande che sono alla base della realizzazione di questo scritto, che vuole essere non solo una breve analisi letteraria ed esperienziale del fenomeno della resilienza”, dice il prof. Marciano, “ma anche uno strumento di riflessione utile per affrontare e rielaborare situazioni difficili che la vita può presentare”. Il termine resilienza viene usato per la prima volta nel campo della tecnologia metallurgica per definire la capacità di un metallo a resistere agli urti. La stessa parola la si ritrova poi in differenti altre discipline come l’informatica, l’ecologia, la biologia e la psicologia.
Per quest’ultima la resilienza, come si è detto, indica la capacità di un individuo di resistere agli urti della vita, di trasformare eventi difficili e traumatici in punti di forza, di maturare un’attitudine più consapevole e ottimista nei confronti della vita e di quanto essa porta con sé. Il tema della resilienza è significativo per comprendere i processi educativi relativi a: bambini e ragazzi nella loro normalità; che vivono in famiglie fragili e vulnerabili; che hanno sofferto l’allontanamento dalla famiglia di origine; che soffrono di disturbi specifici di apprendimento; che vivono una fragilità emotiva.
“Affrontare la resilienza di un giovane individuo implica, quindi, considerare le interazioni che egli ha con la famiglia, con l’ambiente scolastico e quello sociale”, continua il prof. Marciano. “È il sistema famiglia-scuola-società che è resiliente o meno, diventando tutore di resilienza per il particolare individuo. È importante creare un modello di scuola, al di là del solo sapere”.
Come sostiene la prof.ssa Turano, “è ampiamente riconosciuto come la malattia sia fonte di stress personale e familiare e costituisca un importante fattore di rischio per l’insorgenza o la manifestazione di disagio psichico, soprattutto nel caso di malattie che colpiscono il bambino sin dai primi anni di vita. I fattori che possono influire negativamente sullo sviluppo sono in particolare la presenza di pratiche terapeutiche invasive, di limitazioni al movimento fisico e l’ospedalizzazione prolungata che isola il bambino dal resto dell’ambiente familiare, con la conseguenza dello sviluppo di un legame fortemente simbiotico con il genitore che rimane per più tempo accanto a lui. Questi fattori contribuiscono a generare un appiattimento del pensiero esclusivamente sull’aspetto organico e patologico di sé spingendo così il bambino ad identificarsi come malato e non come persona. La malattia non sempre è un limite e non deve essere un tabù. Essa ridefinisce l’esistenza, ricreandone una nuova condizione, ma non ne annulla l’essenza. Il bambino, come anche l’adolescente, tende a vivere l’esperienza della malattia come una rottura o un allontanamento dalla quotidianità e dalle persone e dai luoghi che ne fanno parte: famiglia, amici, scuola. Per favorire la resilienza fondamentale è l’ottimismo. Sviluppare un’attitudine positiva nei confronti di quanto ci accade è di notevole importanza. La scuola in ospedale, oltre a promuovere il diritto all’istruzione in un contesto delicato e complesso, concorre attraverso particolari scelte educativo-didattiche a ristabilire un certo equilibrio interiore”. Come sottolineano entrambi i professori sopracitati, “fare scuola in ospedale significa prima di tutto riportare il giovane alunno/paziente alla sua normale quotidianità fatta anche, e soprattutto, di scuola.
La scrittura assume un ruolo prezioso nella scelta delle attività che di solito vengono proposte ai ragazzi. Lo scrivere diviene uno strumento magico attraverso cui si ricrea l’esperienza, rinarrandola e ridefinendola con significati nuovi e positivi. Lo scrivere di sé, dei propri sogni, delle proprie esperienze, interiori e non, implica una rielaborazione dei contenuti e del valore ad essi dato”.
Nella seconda parte dello scritto si possono leggere le delicate opere di alcuni dei tanti alunni della scuola del Niguarda. I versi delle loro poesie e dei loro racconti sono carichi di umanità, speranza e ottimismo, esempi di percorsi di resilienza di cui tener conto. Francesco, Filippo, Juri, Greta, Marco, Luca, Giulia, Martina, Thomas, Terence, Angelo, Ylenia, Letizia, Gaia sono i nomi di solo alcuni dei tanti giovanissimi pazienti che sono stati in grado di dare un valore nuovo alle proprie esperienze, ritrovando un raggio di luce che li ha guidati nel loro cammino verso il sole.