Russell: il racconto della premiazione al Concorso Policultura del Politecnico

Il tema trascritto di seguito è di Elisa Mazzetto della IV C del Liceo Scienze Umane Russell. La classe ha parteciparo al Concorso Policultura organizzato dal Politecnico di Milano, e ha vinto il premio per i migliori contenuti. Si possono trovare informazioni sul concorso, i finalisti e la premiazione, sul sito www.policultura.it. Maggio. Quel frenetico periodo in cui le ultime acrobazie tra i libri si intrecciano a sospiri agognanti lunghe vacanze. E dove quest’ultime sembrano non arrivare mai. Proprio per questo, quando l’annuncio arrivò, giusto durante tale mese, prese di contropiede un po’ tutti. L’annuncio ci informava che la classe era stata selezionata per far parte della cerchia dei finalisti del concorso Policultura indetto dal Politecnico di Milano. La mail terminava con un invito alla premiazione ufficiale. In classe, il giorno seguente, non si parlò d’altro per una buona mezz’ora. A questo punto ognuno di noi iniziò a sperare. D’altronde, se eravamo riusciti ad arrivare fin qui, la vittoria non poteva essere poi così lontana, no? Numerose (e fantasiose) congetture occuparono i giorni seguenti il comunicato. Quella che era iniziata come una sfida da portare a termine a dispetto degli impegni, più che una vera e propria competizione, si era rivelata un inaspettato successo. Ripensandoci, gli inizi erano stati decisamente turbolenti, per non dire che alcuni di noi proposero di non prendere nemmeno parte al progetto. Non è stata una scelta ovvia, la nostra, né dettata da un’euforia momentanea e passeggera. La quarta, al contrario di quanto si potrebbe pensare, è uno degli anni più intensi e faticosi. Si capisce improvvisamente che il traguardo è ormai vicino, ma, allo stesso tempo, che la strada da fare è ancora tanta. Impegnarsi in un progetto del genere avrebbe significato sacrificare alcune ore scolastiche per il lavoro, oltre che a diversi pomeriggi per la registrazione, il montaggio e la revisione finale. Nonostante l’entusiasmo ci siamo resi conto che era necessario prendersi del tempo per riflettere… La votazione si tenne qualche giorno più tardi: 17 pro e 4 contro. A questo punto non c’era più tempo da perdere. Abbiamo lavorato sodo fino al giorno della scadenza. Volevamo dimostrare di cos’eravamo realmente capaci, sia agli altri, ma anche, e soprattutto, a noi stessi. Era diventata più una questione di orgoglio che di vittoria. Ognuno di noi ha compreso il ruolo e valore all’interno del gruppo, ha portato a termine il proprio compito e offerto agli altri spunti e abilità. È incredibile quanto questo ci abbia offerto la possibilità di scoprire qualcosa in più delle persone che ci stanno intorno durante il giorno. Quelle che, magari, pensiamo di conoscere così bene tra i banchi, ma che al di fuori sono tutto e molto più di quello che crediamo e che scegliamo di vedere. Qualcosa come cinque mesi più tardi una mail con un allegato d’eccezione venne spedita senza intoppi. Abbiamo scelto di intitolare il risultato di mesi di lavoro “Brave New World”, in nome del coraggio dei personaggi che popolavano le nostre storie, ma anche un po’ del nostro, per aver scelto di salpare verso nuovi, ma inesplorati, orizzonti. Noi stessi, come protagonisti e narratori insieme. E così, infine, eccoci qui. Stretti come sardine sui sedili della sala conferenze. Più per l’ansia forse, che per una reale mancanza di spazio. C’è chi tamburella nervosamente sul bracciolo del vicino, chi sbatte i piedi per terra, chi parla tra sé per placare l’attesa. Cerchiamo di seguire con attenzione l’apertura, gli altri lavori presentati, i discorsi dei giudici, ma la verità è che stiamo tutti aspettando… qualcos’altro. Qualcosa che ci dimostri la vera ragione per cui siamo qui, ora. Qualcuno, sussurrando un po’ troppo forte, chiede di sbrigarsi perché non ce la fa più. Tutti ridono. In fondo è quello che pensiamo tutti. Ce la possiamo fare! Mani cercano mani. Ci si tortura la maglietta, i capelli, le dita. Si cerca di scaricare l’ansia e il nervosismo mentre seguiamo l’assegnazione dei riconoscimenti, ma quello che si aspetta davvero è l’ultimo. Il premio finale. Dobbiamo vincere! Vogliamo poter dire “Ce l’abbiamo fatta”. Ai nostri compagni, che aspettano trepidanti da casa. Ai nostri professori, che in silenzio ci hanno supportato e spronato, orgogliosi dei risultati. Anche ai nostri genitori, che da discreti sostenitori osservano la cerimonia via streaming… Quando il nostro nome compare è talmente inaspettato che quasi non esultiamo. Restiamo li, gli occhi fissi sullo schermo. Esce una sorta di grido esitante e trattenuto. Riconoscimento per “i migliori contenuti”. Un regalo insperato e decisamente apprezzato. Arriviamo alla fine quasi senza fiato. Ora che è il momento di annunciare la scuola vincitrice la calma innaturale torna a riempire la sala. Per un’istante regna solo il rumore di centinaia di respiri trattenuti… Vorrei poter dire che siamo stati proprio noi a vincere. Non è andata esattamente così. La cosa buffa è che alla fine perdere non è stato davvero qualcosa di negativo. Certo, non dico che il nostro spirito sportivo abbia accolto con nobile esaltazione i vincitori (quando mai?), e d’altronde un poco di amaro in bocca era inevitabile, ma tutto sommato l’abbiamo presa piuttosto bene. Un po’ sconfitti e un po’ orgogliosi abbiamo posato per le foto di rito con in mano l’attestato ufficiale e abbiamo ripensato al nostro lavoro, al tempo speso e alla volontà di creare qualcosa che avesse un valore tutto suo. Ed è stato solo in quel momento, probabilmente, che ci siamo resi davvero conto di una cosa: che non era un pezzo di carta a definire in nostro lavoro. A definirci. Lo è stato il nostro impegno. Le esperienze di ognuno. Gli scivoloni e gli intoppi. Gli scherzi e le battute un po’ sciocche. Quei cinque mesi non si sono conclusi in quel momento. Ci hanno accompagnato anche dopo. Fino all’ultimo giorno di scuola. Non è stato tempo sprecato, ci ha aiutato a guardarci con occhi diversi, a consideraci di più gli uni con gli altri. Ed è un pensiero, questo, che vale sempre. Anche nella vita di tutti i giorni. Forse è per questo che ci è sembrato così importante. A quelli che proveranno a raggiungere la vetta: sappiate apprezzare tutto quello che il percorso ha da offrirvi. Non fermatevi alle apparenze, ai pregiudizi, alle prime difficoltà. Sappiate guardare altre. Come hanno fatto Colombo e gli altri esploratori. Come abbiamo fatto noi. La vittoria sarà solo la coronazione di qualcosa di davvero grande e bello… Usciti dai cancelli del Politecnico, lessi una frase stampata su un manifesto: “Non importa la meta, ciò che conta è il viaggio”. Sdolcinato, ma terribilmente vero. Un po’ come noi.