Al referendum del 4 dicembre io voto Sì, perché…

In questi anni si è allargata la distanza tra cittadini e politica: è entrato in crisi il rapporto trai cittadini e le Istituzioni, la loro stessa credibilità. Su questo hanno pesato la lentezza con cui si riescono a dare risposte ai cittadini, le mille complicazioni burocratiche e una politica costosa che appare lontana dai bisogni delle persone e che è spesso autoreferenziale. Tutto ciò rischia di indebolire, questo si, la qualità della nostra democrazia. Per questo, di fronte a una crisi delle nostre Istituzioni, in questa legislatura ci siamo impegnati a riformare la seconda parte della nostra Costituzione. Non si mettono in discussione i valori e i principi contenuti nella prima parte, che sono sacri e immodificabili. Si tratta, al contrario, di modificare, così come gli stessi Costituenti avevano previsto, la seconda parte proprio per poter meglio realizzare i principi contenuti nella prima, rendere le Istituzioni più efficaci nella risposta ai problemi del nostro tempo. La riforma costituzionale approvata dalle due Camere dopo più di due anni di discussione e i sei passaggi parlamentari previsti dalla carta costituzionale, cerca di rispondere a queste esigenze e cerca di rilanciare il patto tra cittadini e Istituzioni che serve sia al Paese sia ad impedire derive populiste o autoritarie. Il 4 dicembre i cittadini saranno chiamati a esprimersi con un Referendum sulla riforma approvata. Si vota si o no: al superamento del bicameralismo paritario (ci sarà solo una Camera a dare la fiducia al Governo e a fare gran parte delle leggi evitando le lungaggini dei continui passaggi da una Camera all’altra e il Senato rappresenterà le Autonomie Locali e le Regioni); alla riduzione del numero dei parlamentari (si cancellano i 313 senatori e si crea il Senato delle autonomie con 100 componenti che non hanno indennità essendo già Consiglieri regionali o Sindaci); al contenimento dei costi di funzionamento delle Istituzioni (oltre agli stipendi dei 315 senatori, c’è l’abolizione del Cnel (consiglio nazionale dell’economia e del lavoro), i tetti agli stipendi dei Consiglieri regionali e alle spese di funzionamento degli stessi Consigli regionali); alla revisione del titolo V della seconda parte della Costituzione (non ci saranno più materie concorrenti tra Stato e Regioni e materie come il turismo o i trasporti, che hanno valore e dimensione nazionale, torneranno di competenza dello Stato). Ci sono poi altre cose importanti. Per esempio si interviene per abbassare il quorum di validità dei referendum abrogativi, se si raccolgono 800mila firme, per evitare che il non raggiungimento del quorum impedisca l’espressione dei cittadini, si introduce il referendum propositivo di indirizzo e si garantiscono tempi certi per la discussione in parlamento delle leggi di iniziativa popolare. Non c’è invece alcuna modifica dei poteri del Presidente del Consiglio e del Governo, pertanto la nostra resterà una Repubblica parlamentare. Credo che si debba promuovere l’informazione e il confronto sul merito della riforma. Abbiamo l’occasione di intervenire su molti dei problemi di cui ci siamo lamentati per anni e che hanno reso questo Paese più difficile e faticoso. Non si vota sul Governo come ha chiarito il Presidente del Consiglio e non si vota sulla riforma elettorale che il Parlamento si è già impegnato a modificare. E non si vota per scegliere tra questa riforma e una riforma diversa, ma per dire Sì a questa riforma approvata in Parlamento o lasciare tutto com’è oggi. Spero che il 4 dicembre la maggioranza non abbia paura di cambiare.