Per le morti da amianto giustizia o ingiustizia?
Il 23 settembre a Roma presso il Senato si è tenuto il convegno “I procedimenti penali per i tumori professionali: Giustizia o Ingiustizia?”. Una tematica che riguarda anche la nostra zona con i processi in corso contro i dirigenti di importanti aziende in cui l’esposizione continua e senza protezione alle polveri d’amianto ha provocato la morte per mesotelioma di numerosi operai. I lavori sono stati introdotti dal senatore Felice Casson, il quale ha ricordato che “chiunque si sia occupato di procedimenti giudiziari che abbiano come oggetto i tumori professionali conosce perfettamente l’estrema difficoltà che s’incontra nell’affrontare una problematica che è molto complessa, sia dal punto di vista tecnico che da quello legale”. Per tutta la giornata si sono confrontati su questo complesso argomento, tecnici, magistrati con opinioni spesso discordi e di difficile interpretazione. Ciò si traduce in sentenze di natura opposta (assoluzione o condanna) a tutti i livelli dell’ordinamento giudiziario, dai giudizi di prima grado del tribunale alla quarta sezione della Cassazione. Questi processi coinvolgono migliaia di persone, fra deceduti, malati e familiari, che hanno diritto di avere una risposta chiara e univoca, anche perché in tutta Italia si stanno celebrando importantissimi processi su questi temi, in specie sui mesoteliomi da asbesto. Il Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio, che vanta fra i suoi iscritti diversi cittadini della Municipalità 9, è intervenuto con una relazione dal titolo ”Al lavoro è peggio che in guerra”, portando le esperienze delle vittime dell’amianto nei processi, alcuni ancora in corso, contro la Breda/Ansaldo e la Pirelli evidenziando le problematiche che incontrano le vittime nella lotta per ottenere giustizia, sia nei tribunali che nei confronti dell’Inail. Il Comitato ha ricordato che una delle parole d’ordine che hanno sempre sostenuto in fabbrica fin dagli anni ‘70 gli operai della Breda è stata: “La salute non si paga – la nocività si elimina”. Questo fu uno dei motivi per cui gli operai si scontrarono con il padrone (che dava la paga più alta per i lavori nocivi), e anche con il sindacato che barattava salario e salute. Ma la lotta si faceva anche fra gli stessi lavoratori, con alcuni che vedevano nell’indennità di nocività la possibilità di arrotondare il salario, incoscienti dei pericoli che correvano. Infine il Comitato ha ricordato che per il medico di fabbrica anche gli operai con problemi respiratori erano costretti a lavorare in ambienti nocivi, evidenziando che questa concezione è tuttora dominante, perché nei processi penali e civili si continua a monetizzare la salute e la vita umana. Infine il Comitato ha chiamato i senatori e deputati presenti a condividere due obiettivi: 1) varare una legge che sancisca che i disastri ambientali, gli infortuni, le morti sul lavoro e le malattie professionali non vadano mai in prescrizione e siano considerati crimini contro l’umanità. 2) risolvere il conflitto d’interessi dell’Inail (oggi questo ente è quello che certifica e riconosce la malattia professionale e allo stesso tempo stabilisce se deve indennizzare) intervenendo sui ministri competenti, affinché Inail riconosca i diritti delle vittime esposte a sostanze nocive senza costringerle a lunghe e costose cause, e sia un ente terzo e non l’Inail a certificare la malattia (lasciandogli solo il compito di indennizzare).