Biometano a Bresso: perché la produzione è ancora sottoposta a sperimentazione?

Lo sapevamo che la notizia avrebbe suscitato interesse nei nostri attenti e ambientalistici lettori. Di fatto, perdonateci la battuta ad effetto, il mese scorso abbiamo scritto che a Bresso si può fare il pieno dell’auto con l’acqua. Questo mese lo ribadiamo e vediamo di darvi qualche dato in più, segnalando sin da subito che la tecnologia è pronta al grande passo ma non può dispiegare a pieno le sue potenzialità a causa delle normative vigenti. Chi l’avrebbe mai detto che la burocrazia mette i bastoni fra le ruote… Ma andiamo con ordine. Come si sa, il Gruppo Cap Holding sta sperimentando il metano prodotto dai reflui fognari cittadini: impianto pilota il depuratore di Bresso. L’azienda che gestisce acquedotto, fognatura e depurazione nella città metropolitana di Milano, ha spinto l’acceleratore sull’economia circolare e sta trasformando molti dei suoi 60 depuratori in bioraffinerie in grado di produrre ricchezza dalle acque di scarto. Biometano, fertilizzanti, energia elettrica sono già realtà e presto sarà possibile estrarre nutrienti come fosforo e azoto. In base agli studi dei tecnici Cap, come abbiamo già scritto lo scorso mese, si stima che il solo depuratore di Bresso potrebbe arrivare a sviluppare una produzione annua di biometano di 341.640 kg, sufficienti ad alimentare 416 veicoli per 20 mila km all’anno: 8.320.000 km percorribili complessivi, equivalenti a oltre 200 volte la circonferenza della Terra. Significativi anche i risparmi grazie al costo di produzione di 0,58 euro/kg (il metano per autotrazione viene prezzato in euro al kg e non a litro come avviene ad esempio per gli idrocarburi liquidi quali benzina e gasolio), sensibilmente inferiore ai circa 0,9 euro/kg a cui il metano è oggi acquistabile sul mercato. La sperimentazione di Cap, condotta con Cnr (Centro nazionale ricerche) e che vede la collaborazione tecnologica di Fca (Fiat Chrysler automobil), prevede il trattamento dei fanghi residui della depurazione di tipo biologico a schema classico (fanghi attivi) per via anaerobica (assenza di ossigeno) e la trasformazione in biogas. Successivamente il biogas viene purificato attraverso la tecnologia a membrane che può garantire biometano di ottima qualità (95,0- 99% del volume), pari a quella del gas naturale e, rispettando le caratteristiche chimico-fisiche previste nelle direttive dell’Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico, è idoneo alla successiva fase di compressione per l’immissione nella rete del gas naturale.
Perché il biometano è così importante e sta diventando una fonte di business in Italia, come ad esempio negli allevamenti, di maiali e di bovini, in Emilia?
Perché offre diversi vantaggi: 1) Il metano ottenuto dal biogas è in grado di sostituire perfettamente quello di origine fossile e può così contribuire alla riduzione dei gas serra. 2) L’Italia, secondo importatore al mondo di gas naturale, ne importa 70 miliardi di metri cubi. Il biometano potrebbe compensare il progressivo esaurimento del metano estratto in Italia, che rappresenta circa il 10% del consumo. 3) La produzione di biogas crea posti di lavoro, nella logistica, nella progettazione e costruzione di impianti. 4) Il biogas e il biometano possono essere prodotti continuativamente per tutto l’anno. Essi possono essere quindi impiegati per compensare le indisponibilità delle fonti energetiche non programmabili, come l’eolico o il fotovoltaico.
Tutto bellissimo, semplicissimo e convenientissimo?
Ovviamente no. La burocrazia, come una cambiale in protesto, bussa alle nostre porte. La normativa vigente prevede che, fino all’entrata in vigore di specifiche norme europee, sono escluse le immissioni nella rete del gas naturale, del biometano derivante da biogas prodotto per via termochimica, per esempio attraverso i processi di gassificazione di biomasse da fanghi. Al momento quindi si resta nella fase della sperimentazione. Con buona pace dell’effetto serra che sentitamente ringrazia.