Giuliano ha riposto legno e scalpello

“Le passioni sono come buchi attraverso i quali chiunque può vedere e conoscere l’animo di un uomo”, diceva lo scrittore e filosofo spagnolo, vissuto nel XVII secolo, Baltasar Gracián. Fosse vero, Giuliano Folcia, scomparso a 87 anni a metà gennaio, non aveva segreti: amava la famiglia in primis, ma anche il ballo, il calcio, il ciclismo (era tifosissimo di Fausto Coppi), la pesca e, soprattutto, l’arte. Tante passioni, quindi, per un uomo che sembra destinato fin da ragazzo a diventare un artista: “Papà frequentava i corsi a Brera, ma a causa della guerra dovette rinunciare allo studio”, raccontano i figli Fabrizio e Massimo. Si mette così a fare l’imbianchino, poi verso i 40 anni, oltre alle pareti delle case, inizia a dipingere anche qualche tela. Un giorno, trovandosi in montagna (altra sua passione), vede un alpino che, scolpendo dei rami di albero, dà vita a sculture a forma di galletto. È la scintilla: da quel momento, non abbandona più legno e scalpello. La mattina al Parco Nord – “partiva di casa alle 8.30 per rientrare all’ora di pranzo”, racconta la moglie Marilena – e il pomeriggio, soprattutto nei mesi estivi, sulle panchine di piazza Belloveso, tutti lo abbiamo potuto vedere all’opera impegnato a trasformare anonimi pezzi di legno in vere e proprie opere d’arte: fontanelle, scarponcini, pescatori, alpini, statuette varie e anche figure a carattere religioso erano i pezzi più pregiati del suo “catalogo”. “Papà lavorava anche su commissione e frequentemente veniva chiamato dagli agenti del Parco Nord per scolpire i tronchi degli alberi abbattuti – raccontano ancora i figli -. Solitamente regalava o vendeva, a prezzi modici, le sue opere: era un modo per arrotondare la pensione, anche se con il ricavato delle vendite spesso faceva qualche regalo alla mamma”. Era sempre pieno di energia, Giuliano Folcia: aveva una parola per tutti e tanti ragazzi di Niguarda (suo quartiere dal ’64), oggi divenuti adulti, lo ricordano impegnato a organizzare memorabili sfide pomeridiane e serali di pallone. Per questi ragazzi Folcia era “Gianni”, nome del suo idolo Gianni Rivera. E come dimenticare, poi, la sua simpatia contagiosa la sera del dicembre 2006, al ritiro dello Zonino d’oro sul palco del Teatro della Cooperativa. Una simpatia che non lo ha abbandonato nemmeno in punto di morte, “quando con le sue battute continuava a far ridere pazienti e personale dell’ospedale. Era impossibile da fermare”, chiudono in coro moglie e figli. Un artista non poteva che salutare così.