Le “Pietre d’inciampo”, il museo diffuso della Memoria

“Una persona viene dimenticata solo quando viene dimenticato il suo nome” si legge in un passo del Talmud. E a ricordare i nomi di tutti coloro che negli anni della dittatura nazifascista, strappati alle loro case e ai loro affetti, furono deportati nei campi di sterminio per la sola colpa di essere “ebrei”, “dissidenti politici” o “diversi”, a Milano da quest’anno saranno anche le “Pietre d’inciampo”, un’iniziativa nata in Germania nel 1995 per volontà dell’artista tedesco Gunter Demnig e sperimentata con grande successo in tutta Europa. Le Pietre, sampietrini ricoperti da una lastra in ottone che portano incisi nome, anno di nascita, giorno, luogo della deportazione e data di morte nei lager, vengono poste davanti alle abitazioni di chi non fece più ritorno provocando nei passanti, come afferma lo stesso artista, un “inciampo emotivo utile a combattere l’indifferenza e a mantener viva la memoria delle vittime nel luogo in cui esse vivevano”. Fino ad oggi in vari paesi europei sono state posizionate oltre 50mila Pietre, la prima a Colonia. Quest’anno anche la nostra città ha aderito finalmente a tale iniziativa grazie alla collaborazione tra il Comune con il progetto “Milano è memoria” e il Comitato milanese “Pietre d’inciampo” di cui è presidente Liliana Segre sopravvissuta ad Auschwitz e da anni testimone instancabile, soprattutto nelle scuole degli orrori della Shoah. Nel 2017 nella nostra città saranno ricordati con le “Pietre d’inciampo” tre deportati ebrei e tre deportati politici ma già si pensa al futuro. L’obiettivo del Comitato è di posare da 12 a 24 pietre ogni anno per ampliare quanto più possibile questo originale “museo diffuso della memoria”. La posa della prima “Pietra“ è avvenuta ad opera dello stesso Demnig il 19 gennaio in corso Magenta 55 davanti alla casa, oggi sede di Cairo Editore, dove visse Liliana Segre prima di essere deportata con il padre Alberto ad Auschwitz. In questo campo dopo soli 3 mesi di prigionia il 27 aprile del 1944 Alberto Segre venne ucciso. Le altre Pietre in cui possiamo imbatterci si trovano in via Vespri Siciliani 71 per ricordare Adele Basevi Lombroso, in via Plinio 20 per Dante Coen, in via Milazzo 4 per il gappista Melchiorre De Giuli, in via Spontini 8 per Giuseppe Lenzi, collaboratore di Ferruccio Parri, e in via Dei chiostri 2 per Gianluigi Banfi, uno dei fondatori dello studio di architettura Bbpr. L’iniziativa, che va ad aggiungersi ai riti e ai momenti celebrativi previsti anche a Milano per onorare il 27 gennaio “Giorno della Memoria”, risulta particolarmente significativa in quanto le Pietre che possiamo incontrare sulle nostre strade, più che le formali commemorazioni di un solo giorno, costituiscono un monito continuo, silenzioso ma potentissimo contro l’oblio. Purtroppo ancora oggi si continua a respirare un clima in cui negazionismo e razzismo hanno molto seguito, lo dimostra il gravissimo gesto avvenuto nella notte tra venerdì 20 e sabato 21 gennaio quando qualcuno ha dipinto con la vernice nera la pietra posta in via Plinio in memoria di Dante Coen, ucciso ad Auschwitz. Un gesto ripugnante e inaccettabile che indigna e umilia tutti noi e la nostra città. • Il 10 febbraio il Giorno del Ricordo, una pagina di storia sconosciuta Sconfitta in guerra mondiale, con il Trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947 l’Italia è costretta ad accettare pesanti condizioni imposte dalle Potenze vincitrici: la perdita delle colonie in Africa e delle isole del Dodecaneso; la modifica del confine occidentale con la Francia e del confine orientale con la Jugoslavia. La città di Trieste è suddivisa in due zone, la “Zona A” sotto l’amministrazione militare angloamericana e la “Zona B” sotto quella jugoslava. Buona parte della Venezia Giulia e intere province di Pola, Fiume, Zara vengono cedute alla Jugoslavia di Tito. Il cambio di sovranità tra Italia e Jugoslavia è traumatico. Il rifiuto di vivere all’interno di un regime di occupazione straniera e di tipo comunista, l’introduzione della lingua slovena e croata obbligatorie, la repressione delle tradizioni, delle consuetudini sociali e religiose, l’instaurazione di un apparato repressivo poliziesco rende impossibile la vita agli italiani residenti nei territori sottomessi a Tito. Iniziano da parte del regime violenze, confische, sequestri ed espropri dei beni personali, vengono negate libertà individuali fondamentali e tanti, accusati di essere contrari al regime vengono massacrati nelle foibe o condannati ingiustamente e senza processo a essere “rieducati” in lager che nulla avevano da invidiare ai lager di Hitler o di Stalin. All’opzione se restare e diventare slavi oppure mantenere la cittadinanza italiana e andare in esilio segue un esodo massiccio degli istriani, fiumani e dalmati che, abbandonando casa, beni e affetti, cercano altrove la salvezza. L’esodo, iniziato in realtà già prima della fine della guerra, continua alla spicciolata per oltre 15 anni. Furono circa 300mila su 500mila degli abitanti delle località cedute alla Jugoslavia gli italiani che, senza né danaro né beni, raggiunsero Trieste, Gorizia, Udine e altre città italiane, costretti a vivere per anni in campi profughi. Circa 70mila di loro emigrarono all’estero soprattutto in America e in Australia. Nel 1954 poi il nostro governo si servì dei beni forzatamente “abbandonati” dagli esuli, case, terreni e aziende, per compensare il debito che il nostro paese doveva alla Jugoslavia per i danni di guerra. L’impegno di indennizzare chi 70 anni fa ha dovuto lasciare la propria terra ad oggi non è stato mantenuto. Il nostro paese ha infatti finora erogato, e non a tutti gli aventi diritto, solo modesti acconti sui beni sottratti, oltretutto calcolati su un valore molto inferiore a quello reale. Una pagina di storia italiana questa, immersa da sempre tristemente nell’oblio. Non c’è memoria su tale vicenda, a scuola non si studia, nessun libro di storia, anche a livello universitario, ne parla e i testimoni stanno scomparendo. Una legge del nostro Parlamento emanata nel 2004 “riconosce il 10 febbraio quale Giorno del Ricordo al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli Italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. Ma quanti davvero conoscono la tragedia che si cela dietro questa data e possono quindi ricordare?