Hangar: Balka indaga nel cuore dell’Europa

Crossover/s (Incroci) in mostra all’Hangar Bicocca fino al 30 luglio è la prima retrospettiva in Italia di Miroslaw Balka, uno dei personaggi più autorevoli della scena artistica degli ultimi trent’anni. Nato nel 1958 in Polonia, vive e lavora a Varsavia, dove insegna all’Accademia di Belle Arti. Le sue personali sono state ospitate in musei e istituzioni internazionali e ha partecipato a cinque Biennali di Venezia. I 18 lavori esposti all’Hangar, video, installazioni, sculture, rappresentano il nucleo della ricerca personale e del percorso artistico di Balka che interpreta l’esistenza umana come un insieme di incroci – simbolici, temporali, spaziali – di esperienze individuali e collettive. È un gioco di luce e buio, di passato e presente, di memoria e oblio, di storia individuale e storia collettiva. Balka fa continui riferimenti alla storia tragica del suo paese, segnato dall’occupazione nazista, dalla presenza dei campi di sterminio come quello di Treblinka, a pochi chilometri da Otwock sua città natale, e dall’esperienza del regime comunista. Ma nel vissuto personale dell’artista e in quello della Polonia si riconosce la storia cupa e dolorosa dell’intero nostro continente dilaniato da intolleranze, paure ed egoismi che si ravvisano nel buio ostile e angoscioso della navata dell’Hangar, nei tunnel neri da percorrere e nei materiali usati nelle opere, legno, cemento, ferro, sale, sapone. Il visitatore già all’entrata è colpito dalla potenza fisica, visiva e sonora di “Percorsi per il trattamento del dolore” una enorme vasca metallica con acqua nera il cui forte getto rimbomba nell’ampio spazio. E l’acqua che nella tradizione religiosa e letteraria simboleggia la purezza, la guarigione e la rinascita, qui evoca un dolore passato nella memoria collettiva che può essere superato solo se dichiarato e reso visibile a tutti nella sua mostruosità. Impressionante “Zoo”, una struttura metallica ottagonale che al suo interno accoglie un recipiente pieno di vino rosso, un’opera che riproduce in scala la gabbia con volpi, colombi e altri animali costruita nel 1943 a Treblinka da un comandante delle SS per intrattenere familiari e amici. Una riflessione sconvolgente: come può coesistere l’intrattenimento piacevole con gli orrori di un campo di sterminio? A sottolineare la pericolosità e la fragilità della vita due opere , “To be”, una molla appena visibile nello spazio buio, che vibra e striscia come una serpe facendo sobbalzare il visitatore con il colpo secco prodotto, e una piattaforma mobile poggiata su un perno su cui si può salire verificando l’instabilità e l’insicurezza dell’essere umano. La memoria di anonime esperienze quotidiane individuali che diventano collettive la ritroviamo in “Common ground”, 178 zerbini raccolti in un quartiere povero di Cracovia a formare un unico tappeto e “7*7*1010”, una colonna alta più di 10 metri fatta di saponette usate da abitanti di Varsavia. Il visitatore collegherà così la propria esperienza privata scoprendosi parte della collettività. Il percorso si conclude nel Cubo, l’unico spazio luminoso nel quale si fa fatica a scorgere un sottilissimo filo di cotone giallo che scende dal soffitto altissimo fino al pavimento e che si muove nello spazio per lo spostamento d’aria provocato dall’avvicinarsi del visitatore. L’esile filo colorato, simbolo della fragile esistenza umana, mostra così il valore di ogni singolo individuo la cui vita ha e ha avuto in ogni tempo un significato per la collettività e la storia.