Da Zaccheroni ad Ancelotti Gli allenatori del Milan, parte quinta (1998-2009)

Nell’ultima puntata sugli allenatori rossoneri, pubblicata nel lontano gennaio 2016, eravamo giunti al secondo addio di Fabio Capello. Al suo posto, all’inizio della stagione 1998-99, venne chiamato a guidare il Milan un emergente, Alberto Zaccheroni, proveniente da una Udinese dove aveva ottenuto ottimi risultati con il modulo 3-4- 3. Amante di un gioco offensivo, l’allenatore romagnolo partì in sordina, con due sconfitte nelle prime cinque partite. Sembrava un torneo di transizione, quello del Milan, e invece, piano piano, Zaccheroni condusse i suoi giocatori sempre più in alto, fino a raggiungere un inaspettato secondo posto dietro a una Lazio che stava dominando il campionato. Proprio uno 0-0 a Roma contro i biancoazzurri alla 27° giornata sembrò sancire la fine di ogni speranza. E invece nelle ultime settime gare accadde l’imprevedibile. La Lazio, forse ormai certa del titolo, mollò la presa e il Milan si trovò a tallonarla sempre più vicino anche grazie a un po’ di fortuna, come un gol di Ganz al 95’ contro la Sampdoria a San Siro. L’incredibile sorpasso si verificò alla penultima, quando il Milan sconfisse 4-0 l’Empoli mentre la Lazio chiudeva sull’1-1 la sfida con la Fiorentina di Trapattoni. Un misero punto di vantaggio, che il Milan riuscì a mantenere battendo 2- 1 il Perugia al “Curi” anche per merito di un giovanissimo Abbiati che, a pochi minuti dallo scadere, riuscì a deviare un velenoso tiro di Bucchi diretto all’incrocio. Questo fu uno degli scudetti più belli della storia milanista, paragonabile per intensità a quello del 1987-88 di Sacchi. Un vero miracolo, guardando la formazione base che affiancava campioni a giocatori assolutamente “normali”: Abbiati, Sala, Costacurta Maldini, Helveg, Albertini, Ambrosini, Guglielminpietro, Boban (Leonardo), Bierhoff, Weah. Anche a causa di acquisti inadeguati e di una rosa non all’altezza, nell’anno successivo Zaccheroni si classificò solo al terzo posto e nel 2000-2001 l’eliminazione dalla Champions provocò un esonero caldeggiato dallo stesso Berlusconi che, sostenitore del 4- 4-2, non aveva mai approvato il modulo (e forse anche le idee politiche) di Zaccheroni. Si era a marzo, e per il resto della stagione sulla panchina del Milan si accomodò Cesare Maldini, destinato comunque pure lui a entrare nella leggenda rossonera grazie al terrificante 6-0 affibbiato all’Inter l’11 maggio 2001. Finito il ruolo di traghettatore, il “Cesarone” cedette la guida del Milan per la stagione 2001-2002 a un nuovo tecnico, il turco Fatih Terim. E ancora, come era capitato qualche anno prima con Tabarez, ingaggiare un allenatore straniero si rivelò un errore. Non particolarmente apprezzato dalla dirigenza per il suo 3-4-3 (ma non lo sapevano, quando lo avevano scelto?) e per qualche atteggiamento guascone, accusato di non sapere adeguatamente preparare le partite, l’“imperatore” Terim apparve subito sotto esame. Un 4-2 nel derby all’8° giornata sembrò metterlo al sicuro, ma solo due turni dopo, con il Milan sconfitto a Torino (anche per un rigore sbagliato da Inzaghi), l’accetta dell’esonero si abbatté anche su di lui. Per fortuna, visto che colui che l’avrebbe sostituito sarebbe stato l’ultimo allenatore rossonero ad aprire un ciclo trionfale: Carlo Ancelotti. Già amato dai tifosi come pedina fondamentale del centrocampo di Arrigo Sacchi, il Carletto avrebbe infatti condotto il Milan fino al 2008-09, in (quasi) otto campionati che avrebbero fruttato alla società altrettanti titoli: 2 Champions League (contro Juventus ai rigori e Liverpool per 2-1), 1 Coppa del Mondo per Club (4-2 al Boca Juniors), 2 supercoppe europee (1-0 al Porto e 3-1 al Siviglia), 1 scudetto, 1 coppa Italia (Roma) e 1 supercoppa italiana (3-0 alla Lazio a San Siro). Un palmares notevole ottenuto collezionando 420 panchine, un numero che pone Ancelotti al secondo poste nella classifica dei tecnici rossoneri, dietro al “mostro sacro” Nereo Rocco (459) ma prima di Viani (376), Capello (300), Liedholm (280) e Sacchi (220), tutti allenatori che hanno scritto la storia del Milan. Lo spostamento di Pirlo a centrocampo e il cosiddetto “albero di Natale” (Kakà e Seedorf dietro all’unica punta Inzaghi) sono state invenzioni degne di un manuale del calcio. Ma anche la tranquillità, la capacità di sorridere e sdrammatizzare che hanno sempre contraddistinto Ancelotti lo hanno fatto apprezzare da tutti e paragonare, per umanità e gestione dello spogliatoio, a quel grande uomo e allenatore che fu il Paròn Rocco. Tra le tante vittorie, come è normale che sia, c’è però da ricordare anche un paio di insuccessi dell’Ancelotti rossonero che sono passati alla storia. Ad esempio, l’eliminazione dai quarti di Champions 2004 ad opera del Deportivo la Coruna: 4-1 a San Siro seguito da un clamoroso 0-4 al ritorno. Oppure, la celeberrima rimonta patita dal Liverpool nella finale dell’edizione successiva (da 3-0 a 3-3 in sei minuti), poi persa ai rigori. Queste clamorose sconfitte hanno fatto sostenere ad alcuni l’incapacità a tenere costantemente alta la concentrazione dei giocatori da parte di Ancelotti. Una mancanza di polso, forse, vera. Anche se altri sostengono che fu solo un Fato maligno a condannare il Milan, in quelle due maledette serate. Perché, una volta lasciata la squadra rossonera, Carletto avrebbe continuato a collezionare trionfi in tutti i maggiori club d’Europa.