Il femminicidio spiegato da un quadro

Si accende la tv e immancabilmente ci si scontra con l’ennesimo caso di femminicidio. Sembra un fenomeno lontano dalla vita di ogni giorno, ma l’incidenza con cui si propone non puo’ non preoccupare. Il 9 marzo, alla casa dei Diritti di Milano in via De Amicis 10, si dibatteva di femminicidio davanti alla tela di Silvana Scaravelli “A bocca chiusa”. Nel dipinto una donna significativamente crocifissa rappresenta la solitudine femminile di fronte alla violenza, tra l’indifferenza generale e l’assenza di protezione. Ha introdotto Diana De Marchi, Presidente della Commissione Consiliare Diritti del Comune di Milano, affermando l’importanza della diffusione di temi quali la discriminazione e il maltrattamento della donna. Chi è vittima di violenze domestiche non le riconosce come tali, mentre dovrebbe rendersi conto di essere i soggetto di una grave ingiustizia che spesso finisce con la sua eliminazione fisica. L’importanza dell’indipendenza economica e, soprattutto culturale, è stata ribadita più volte nel corso dell’incontro da Miriam Pasqui, coordinatrice della rete dei Centri Antiviolenza e delle Case Rifugio del Comune di Milano. La dottoressa Donatella Galloni, assistente sociale del Soccorso Violenza Sessuale e Domestica (SVSeD), ha spiegato come il femminicidio sia il risultato finale di anni di maltrattamenti. Si crea un fenomeno che si ripete in quasi tutti i casi e che passa attraverso la disistima generale dalla maldicenza del proprio uomo, dall’isolamento dalle proprie amicizie e dalla madre. Si ha una perdita della visione della realtà, fino all’autocolpevolizzazione da parte della vittima che non capisce che la violenza viene considerata, dall’uomo che la esercita, non una reazione a errori di comportamento, ma solo una modalità di gestione di un rapporto. Quando la partner decide di mettere fine al rapporto, viene uccisa. È la cruda discriminazione di una piaga sociale che ritrova nel quadro “A bocca chiusa” la drammaticità di colori plumbei, incisivi, traumatici. Un quadro che è stato visibile alla Casa dei Diritti fino al 19 marzo, per ricordare che il femminicidio non è il risultato di un raptus d’amore, ma di una visione del rapporto di coppia basata sull’imposizione del potere del più forte.