Bonifiche per inquinamento da amianto. L’Italia è in gravissimo ritardo
A25 anni dal varo della legge 257 del 1992, con la quale in Italia è stata messa al bando la lavorazione e l’utilizzo dell’amianto, ancora troppo poco è stato fatto sul versante del censimento e del risanamento: le aree bonificate nel nostro Paese sono poco più di 2 mila, quelle parzialmente bonificate sono tra le 4 mila e le 4.500, su un totale di 35- 40 mila siti in cui non è stato realizzato alcun intervento. La messa in sicurezza del territorio a causa del ritardo del Piano nazionale dei ministeri della Salute, del Lavoro e dell’Ambiente, tarda a essere pienamente operativo. E intanto 4 mila persone all’anno muoiono per malattie correlate all’esposizione della fibra killer. L’amianto ha un periodo d’incubazione, tra l’esposizione e la patologia conclamata, che può arrivare a 30-40 anni. Senza interventi radicali di bonifica delle aree ex industriali e del territorio, a causa dell’asbesto continueranno a morire nel nostro Paese nei prossimi decenni ancora migliaia di persone. I dati Inail ci dicono che in tutte le città industriali del nostro Paese sono presenti livelli molto elevati di mortalità a causa di patologie asbesto-correlate. Se non s’interviene con le bonifiche questa mattanza è destinata a continuare mettendo a rischio le future generazioni. Bisogna soprattutto bonificare i luoghi dove la presenza del minerale è particolarmente forte, dalle scuole agli asili, agli ospedali, alle piscine, alle sedi istituzionali. Questi saranno i temi che associazioni, comitati e sindacati porteranno in discussione alla prossima Conferenza Governativa Amianto il 24 e 25 novembre, a Casale Monferrato. • Morti da amianto? Per il tribunale la causa potrebbe essere il fumo di sigaretta. Andando contro ogni evidenza scientifica il tribunale di Milano ha motivato l’assoluzione di 8 manager della Breda/Ansaldo sostenendo che potrebbero essere state le sigarette a causare la morte per mesotelioma pleurico di una decina di operai dell’ex Breda di Viale Sarca tra gli anni ‘70 e il 1985, che per decenni hanno respirato fibre di amianto, anche se molti di loro non hanno mai fumato. Sembra paradossale, ma è scritto nelle motivazioni della sentenza per i quali il tribunale lo scorso giugno ha assolto otto ex manager della Breda: “Non è possibile accertare… se l’insorgenza di un carcinoma polmonare sia stata condizionata dall’esposizione all’asbesto ovvero se l’insorgenza di un mesotelioma pleurico sia stata condizionata dal fumo di sigaretta”. Il giudice si spinge addirittura oltre, affermando che non esiste una “legge scientifica” che possa descrivere l’ipotesi, formulata dall’accusa, di un “nesso di causalità tra una determinata condotta ascrivibile a un imputato e la malattia insorta in un preciso lavoratore, poi deceduto”. La sentenza è in linea con tutti i recenti verdetti di assoluzione del tribunale milanese nei processi, che vedono imputati manager di aziende per le morti di operai causate dall’amianto respirato sui luoghi di lavoro. A differenza di altri tribunali, che condannano i responsabili che non hanno rispettato le leggi sulla sicurezza sui posti di lavoro, la magistratura milanese assolve gli imputati sostenendo che è solo il momento in cui insorge la malattia – che ha periodi di latenza anche di 30 anni – a contare in termini di eventuali responsabilità per chi all’epoca dirigeva una fabbrica. Siccome per il tribunale di Milano stabilire quel momento è difficile, nel dubbio si assolve. Questa tesi contrasta con quella di eminenti scienziati per i quali il protrarsi dell’esposizione all’amianto aggrava comunque la malattia che porta alla morte: dunque le responsabilità andrebbero estese.