Due importanti appuntamenti politici nella nostra zona con Rosy Bindi e Debora Serracchiani

Lo scorso 3, 4, 5 novembre si è svolta la Festa dell’Unità organizzata dai Circoli Pd del Municipio 9 che, per l’occasione, hanno ospitato momenti di dibattito politico alternati a musica e convivialità.
Due gli appuntamenti politici di spicco nei circoli di Affori e di Niguarda che hanno avuto come protagoniste la presidente della Commissione Parlamentare Antimafia Rosy Bindi e la presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani.
Tantissime le persone che hanno preso parte ai dibattiti e grande interesse è stato mostrato per la riforma del codice antimafia e della gestione dei beni confiscati (molti anche nell’area milanese), su cui si sono confrontati, oltre a Rosy Bindi, Fabio Roia (presidente della Sezione Autonoma Misure di Prevenzione del Tribunale di Milano), Luciano Silvestri (responsabile Legalità della Cgil nazionale e promotore della legge d’iniziativa popolare “Io riattivo il lavoro” riguardante le aziende confiscate), Franco Mirabelli (capogruppo del Pd nella Commissione Parlamentare Antimafia) e Beatrice Uguccioni (vicepresidente del Consiglio Comunale di Milano e componente della Commissione Antimafia milanese).
L’incontro, svoltosi nel Circolo Pd ad Affori, è stato introdotto dal senatore Mirabelli che ha illustrato i molti provvedimenti in materia di legalità approvati nel corso della legislatura che si sta concludendo, a partire dalle modifiche all’articolo 416 ter del Codice Penale per punire il reato di voto di scambio, inteso come voti in cambio di favori e non più solo in cambio di denaro, alla legge anticorruzione, all’istituzione dell’Autorità Nazionale AntiCorruzione presieduta da Cantone, all’introduzione del reato di autoriciclaggio e di falso in bilancio, fino ad arrivare alla riforma del Codice Antimafia, costruita dopo un lungo lavoro di ascolto di magistrati, forze dell’ordine e associazioni operanti in particolare nella gestione dei beni confiscati e volta a creare regole più efficaci per contrastare la criminalità organizzata.
La riforma del Codice Antimafia, infatti, è arrivata anche dalla spinta delle firme raccolte per la presentazione della proposta di legge di iniziativa popolare riguardante i lavoratori dei beni e delle aziende confiscate alla mafia che, purtroppo, fino ad oggi, spesso sono state fatte fallire mentre, con le nuove norme, si dovrebbe consentire di assicurare maggiore supporto per quelle in grado di stare sul mercato e maggiori garanzie per i lavoratori che vi sono occupati, come ha spiegato Luciano Silvestri. Dati riguardanti i beni confiscati e l’attività della magistratura in termini di misure di prevenzione (sequestri e confische) li ha forniti Fabio Roia, mentre sulle novità messe in campo dal Comune di Milano sul fronte della legalità e in supporto a chi si trova a denunciare fatti criminosi è intervenuta Beatrice Uguccioni.
A concludere l’incontro è stato l’intervento della presidente Bindi, che ha ripercorso le tappe che hanno portato alla riforma del Codice Antimafia e ha risposto alle polemiche circolanti nelle scorse settimane in relazione ad alcune norme contenute nel testo di legge, riguardanti l’estensione della confisca preventiva a chi commette reati contro la Pubblica Amministrazione (corruzione).
“Appena approvato il nuovo Codice Antimafia è partita una campagna denigratoria da parte di alcune testate giornalistiche – ha detto Rosy Bindi ­ ma questa non è stata una riforma improvvisata o fatta di fretta come altre messe in campo nel corso della legislatura, anzi è frutto di un lungo lavoro basato sull’ascolto delle diverse esperienze in materia”.
Rosy Bindi si è soffermata molto sulla questione dei beni confiscati, segnalando che “si parla di un patrimonio di circa 25 miliardi fatto di terreni, immobili e aziende» e che con le precedenti norme si erano registrati dei gravi malfunzionamenti dell’Agenzia che aveva il compito di gestirli, così come altri problemi erano sorti con gli amministratori giudiziari, come ha mostrato anche il caso di Palermo (che pure non era avvenuto violando la legge esistente). Le nuove norme, dunque, servirebbero a far funzionare meglio l’Agenzia per i beni sequestrati e confiscati, consentire a essa di avvalersi di competenze adeguate ai casi da seguire (lo spostamento della sede a Roma è stato voluto anche in quest’ottica) e a dare regole agli amministratori giudiziari per evitare che si creino situazioni di monopolio, oltre che fornire strumenti di supporto alla magistratura che deve occuparsi delle misure di prevenzione e che non sempre e non in tutte le zone del Paese è attrezzata per farlo.
“La nostra legislazione antimafia è guardata con interesse anche dagli altri Paesi europei – ha ricordato Rosy Bindi – e il Codice Antimafia è il principale strumento del nostro ordinamento per contrastare la criminalità organizzata. Con le nuove norme, abbiamo cercato di combattere le mafie in modo più raffinato di prima; del resto anche i mafiosi si sono fatti più raffinitati”.
Per Rosy Bindi, dunque, il Codice Antimafia è un buon punto di arrivo per fronteggiare le organizzazioni mafiose e garantire una migliore gestione del patrimonio confiscato, ma non è l’unico terreno su cui vi è la necessità di intervenire: “La normativa inerente lo scioglimento dei Comuni è sicuramente da rivedere perché noi dobbiamo ammazzare la mafia ma non dobbiamo ammazzare né la politica né l’economia di questo Paese. I Comuni sciolti per mafia, purtroppo, hanno una serialità di scioglimento”.
La presidente della Commissione Antimafia ha infine evidenziato che la forza della mafia oggi sta meno nell’intimidire e più nel creare complicità: “È nello scambio con i professionisti la forza dei mafiosi di oggi – ha affermato Rosy Bindi -. I beni che confischiamo,loroi li hanno avuti anche perché hanno trovato soggetti che li supportavano nelle loro attività. La mafia, quindi, spara meno -soprattutto al Nord – perché fa i suoi affari senza bisogno di sparare e ha trovato un terreno fertile per fare questo”.
Tutt’altre questioni quelle poste, invece, la mattina del 5 novembre a Niguarda, dove sono arrivati in molti per ascoltare Debora Serracchiani con il senatore Mirabelli, l’assessore Granelli e il Segretario Metropolitano del Pdo Bussolati sul Partito Democratico e le prospettive future. Debora Serracchiani si è soffermata a lungo sulle paure dei cittadini che vengono spesso cavalcate dalle forze populiste e amplificate dalle cosiddette “false notizie”. Un contesto non semplice quello in cui, secondo la Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, si trovano ad agire i politici oggi ma questo deve spingerli a fare uno sforzo ulteriore di fare ancora meglio e comunicare ciò che di positivo si è fatto.
A tutto questo, per la nostra parte politica si aggiunge un problema in più, ha affermato Serracchiani: «Il problema della sinistra sono le divisioni. Noi entriamo in crisi quando dobbiamo governare, quando dobbiamo prendere delle decisioni, discutere, entrare anche in conflitto e mostriamo tutta la nostra fragilità. Sprechiamo anche molto tempo a dover spiegare e giustificare se ciò che facciamo è di sinistra e personalmente sono un po’ stanca di dover fare l’esame del sangue tutti i giorni. Sono di sinistra e lo dimostrano le azioni politiche nella mia Regione.” Serracchiani ha poi fatto l’esempio della questione immigrazione e di come la affronta il ministro Minniti rispetto agli annunci rozzi di Matteo Salvini o alle azioni del centrodestra quando era al Governo del Paese.
Affrontando la questione dello Ius Soli, Serracchiani ha messo in luce tutte le contraddizioni di M5S, che prima si è detto favorevole alla norma ma che poi per ragioni elettorale” si è tirato indietro al momento di votarlo. Ma sullo stesso tema, secondo Serracchiani, anche il Pd sbaglia quando cerca di metterci la bandierina della sinistra sopra invece di andare a spiegare agli italiani di cosa si tratta davvero e del perché è una legge di civiltà per l’Italia.
Un altro tema è stato quello del cambiamento, che “è fondamentale per un Paese come il nostro che per troppo tempo si è cullato nell’immobilismo. Il cambiamento significa rimettersi in discussione e far saltare le rendite di posizione. Il cambiamento, quindi, spaventa e noi dobbiamo spiegarlo perché non può rimanere a livello di classe dirigente ma deve essere una missione collettiva e ciascuno si deve sentire coinvolto». In chiusura Serracchiani ha accennato alle questioni dell’autonomia poste dalle forze leghiste che maschera una cultura del dividere difficile da contrastare ma molto pericolosa.