A 100 anni dalla nascita del grande Franco Fortini, per un anno insegnante al Galvani

Quest’anno corre il centenario della nascita di Franco Fortini (Firenze, 10 settembre 1917 – Milano, 28 novembre 1994). Mi sembra giusto ricordare anche su “Zona Nove” quest’uomo di cultura noto e stimato a livello internazionale, perché nell’anno scolastico ‘66-’67 insegnò al Galvani. Era un finissimo intellettuale, poeta, giornalista, scrittore, traduttore, saggista, amico di gente come Geno Pampaloni, Franco Calamandrei, Luigi Comencini, Ignazio Silone, Adriano Olivetti, uno dei collaboratori del “Politecnico”, la storica rivista di Elio Vittorini. Aveva maturato la convinzione che il futuro del nostro Paese passasse per le giovani menti degli studenti, figli di operai e di impiegati, degli istituti tecnici piuttosto che dai liceali presuntuosi e con la puzza sotto il naso. E così noi spellafili e grattaruggine (come venivano chiamati rispettivamente gli studenti di elettrotecnica e meccanica) tra un’ora al tornio e una di saldatura ci abbeveravamo alla fonte della Cultura con la C maiuscola. Passavamo dalla storia dell’arte (ricordo una impareggiabile lezione sul Rinascimento, durante la quale riprodusse col gesso sulla lavagna un celebre ritratto di Antonello da Messina) alla Divina Commedia (della quale conosceva a memoria diversi canti). Ci recitò una volta il canto quinto del Purgatorio, quello di Pia de’ Tolomei, dall’inizio alla fine. E ci fece notare la teatralità di Dante in questo canto, una cosa ovvia dopo che te l’hanno spiegata, ma che non si trova scritta da nessuna parte. Le sue lezioni erano spettacolari, indimenticabili. E d’altra parte cosa aspettarsi di meno da uno che aveva collaborato con la sceneggiatura di “Ladri di biciclette” e che aveva scritto testi anche per alcune canzoni (“Quella cosa in Lombardia”, ad esempio, per Jannacci). Il suo vero nome era Franco Lattes (Fortini era il cognome della madre, che lui preferì, nella convinzione che Lattes suonasse troppo ebreo) e con quel nome lo conoscevamo al Galvani. A me, e non solo a me, quell’uomo fece una grande impressione e in un certo senso diede una spinta alle decisioni che avrei preso nella vita. Un vero uomo del Rinascimento: poeta e pittore, amante delle arti e delle scienze, una memoria formidabile e una inesauribile sete di conoscenza. È stato attivo anche in politica: fu partigiano (e perseguitato per le origini ebree del padre, al punto che dovette riparare in Svizzera), ondeggiò fra vari partiti della sinistra e confessava che l’unico libro che non fosse mai stato capace di terminare fosse proprio “Il Capitale” di Marx, aggiungendo anche di non aver mai conosciuto nessuno che l’avesse fatto davvero. Al Galvani insegnò un solo anno, rendendosi conto che cercare di far entrare della cultura nelle nostre zucche era fatica sprecata, ma lasciò comunque il segno. Credo che il modo migliore di ricordarlo sia di pubblicare uno dei suoi scritti, come il testo di quella canzone di Jannacci che menzionavo prima:
Quella cosa in Lombardia
Sia ben chiaro che non penso alla casetta
due locali più i servizi, tante rate, pochi vizi,
che verrà quando verrà…
penso invece a questo nostro pomeriggio di domenica,
di famiglie cadenti come foglie…
di figlie senza voglie, di voglie senza sbagli;
di millecento ferme sulla via con i vetri appannati
di bugie e di fiati, lungo i fossati della periferia…
Caro, dove si andrà, diciamo così, a fare all’amore?
Non ho detto “andiamo a passeggiare”
e neppure “a scambiarci qualche bacio…
Caro, dove si andrà, diciamo così, a fare all’amore?
Dico proprio quella cosa che sai,
e che a te piace, credo, quanto a me!”
Vanno a coppie, i nostri simili, quest’oggi
per le scale, nell’odore di penosi alberghi a ore…
anche ciò si chiama “amore”;
certo, è amore quella fretta tutta fibbie, lacci e brividi
nella nebbia gelata, sull’erbetta;
un occhio alla lambretta, l’orecchi a quei rintocchi
che suonano dal borgo la novena; e una radio lontana
dà alle nostre due vite i risultati delle ultime partite…
Caro, dove si andrà, diciamo così, a fare all’amore?
Non ho detto “andiamo a passeggiare”
e neppure “a scambiarci qualche bacio…
Caro, dove si andrà, diciamo così, a fare all’amore?
Dico proprio quella cosa che sai,
e che a te piace, credo, quanto a me!”