La memoria me lo consegna sempre con un impermeabile e in piedi, alla fermata dell’autobus, davanti al giornalaio, accanto al prestinaio, dirimpetto all’ex cinema Vox. Come se la sua giornata non fosse stata che quella: stare lì tutto il tempo, salutare i passanti, i passeggeri in attesa, amabilmente, accogliere quelli in arrivo. Come se tutti lo conoscessero. Mi portavano da lui in quei primi giretti a piedi che ci fanno scoprire un mondo. Forse mia nonna (l’altra, Teresa), forse mia mamma, mi avevano presentato a questo altissimo signore. So per certo d’avere provato subito, per la sua faccia, con baffi bianchi e ben curati, che mi sembrava minacciosa, eppure gentile, una spontanea simpatia. “Ma come si chiama questo bambino? …come ti chiami?” “Dài non fare il vergognoso, dillo come ti chiami… dài… su.” “Mi chiamo…” “Guarda… hai visto? …guarda cosa ti dà il signore… le caramelle, quale vuoi? Quella gialla o quella arancione? Ecco… quella gialla… e adesso digli: grazie signor Antonio, dài che dobbiamo andare, grazie per la caramella…” Deve essere andata più o meno così, anche perché s’insegna presto, ed è bene scriverlo, non si sa mai… che è sconveniente accettare le caramelle dagli sconosciuti. Abitava in via della Boscaiola, una casetta bassa chiara dove ora c’è un asilo, l’Antonio Ghe n’è pü, l’avevo visto un giorno mentre rientrava. Negli anni a seguire, mi offriva ancora le caramelle, lo trovavo sempre lì, ora avevo lo zaino, iniziavo da solo a tornare da scuola. Gliene chiedevo ogni volta qualcuna in più. Ci intendevamo a meraviglia, ma a volte, su cenno di mia mamma, doveva rispondere facendosi subito serio, come stupito, tirando fuori carta straccia, lanetta: “…mi spiace, le ho finite: ghe n’è pü”. Ma il sorriso con cui mi lasciava, faceva ben sperare, la prossima volta… “Andiamo su… buongiorno signor Antonio, arrivederci e mi scusi”, mia mamma tirava il fiato. Per un buon periodo, devo avere immaginato, o forse devo averlo proprio pensato, che fosse anche lui in qualche modo un mio parente, che so, uno zio… Ora che ci penso, non ho mai saputo che lavoro facesse, o avesse fatto, come si chiamasse di cognome, ancora meno, il Signor Ghe n’è pü, “Antonio Ghe n’è pü”, che quasi è un modo di dire a casa mia. Tra le sue preferite a quel tempo, e quindi anche le mie, le Rossana