Malati cronici: che ne sarà di loro con la “riforma” della Sanità lombarda?

Molti medici di base sostengono che non sarebbe più possibile personalizzare le cure

Come abbiamo avuto modo di scrivere nei mesi scorsi, sentendo anche il parere dei medici di base, a partire da queste settimane entra nel vivo la nuova modalità di gestione dei malati cronici da parte delle Regione Lombardia. I pazienti cronici lombardi stanno infatti ricevendo una lettera che li informa della nuova “opportunità” di cura, così la chiamano i vertici della Sanità regionale, predisposta per “migliorare la qualità della loro vita”. La notizia è stata data con grande enfasi dall’assessore regionale al Welfare Giulio Gallera che ha anche precisato: “Come ogni riforma c’è voluto del tempo per studiarla e metterla in atto e siamo consapevoli che altrettanto tempo sarà necessario perché venga assimilata, metabolizzata e anche affinata e ulteriormente migliorata”. Il provvedimento è stato in effetti aspramente criticato da parte di medici e sindacati, per la modalità scelta per garantire le prestazioni ai pazienti, che si sono spinti a chiedere al Tribunale amministrativo regionale, ricevendo una secca bocciatura, una sospensiva all’introduzione del nuovo modello di assistenza. Cerchiamo di capire perché la riforma è tanto divisiva. La rivoluzione “maroniana” prevede l’introduzione, per l’assistenza ai cronici, della figura del gestore o del co-gestore che lavorerà assieme a un ospedale pubblico o privato accreditato al sistema sanitario regionale. Il gestore potrà essere un medico di medicina generale, in particolare il medico di base (il nostro medico di famiglia), oppure una Società, che inevitabilmente per rispondere alla propria “missione” (generare utili) potrà, ma sarebbe meglio dire dovrà, assistere migliaia di malati. Altro punto che crea attrito: i medici di base potranno continuare a seguire circa 2 milioni di pazienti cronici, ovvero coloro che sono affetti da una sola patologia. Invece, nel caso il malato abbia più disturbi a quel punto deve essere preso in carico da un’organizzazione complessa ovvero la società. Secondo la Regione il paziente trarrà solo vantaggi da tutto ciò perché non dovrà più preoccuparsi di nulla, ad esempio farsi prescrivere le ricette o prenotare le visite periodiche, perché ci penserà al posto suo il gestore. Con questa nuova modalità però il malato sarà in contatto con due figure: per la cronicità con il gestore, per tutto il resto con il medico di base che, come abbiamo visto, potrebbero non corrispondere. Per questo c’è la protesta dei sindacati di categoria e della maggior parte dei medici di base. I medici di famiglia, i primi baluardi del sistema sanitario nazionale, si sentono infatti sminuiti nel loro ruolo da questa nuova gestione dei malati cronici. E non c’è solo questa motivazione che potrebbe risultare “di parte”: questa modalità di gestione/erogazione del servizio potrebbe avvantaggiare i grossi gruppi privati, gli unici che, ragionando sui grandi numeri, possono offrire sia una prestazione a costi più bassi per la Regione sia servizi non personalizzati ma standardizzati, musica per le orecchie dei vertici della Sanità regionale, impegnatissimi a tagliare i costi e fare entrare sempre più il privato nel grosso business della salute, anche a costo di sacrificare i pazienti più complessi che non riceverebbero più una valutazione su misura da parte del medico che li conosce da anni e con il quale hanno instaurato un rapporto di fiducia. Vedremo nei prossimi mesi i primi effetti di questo ennesimo passo verso una sanità sempre meno pubblica.