Peppino Meazza era “el Fòlber” (il calcio)

“A Giuseppe Meazza, dal suo cuore generoso, il popolo di Milano intitola questo glorioso stadio più volte illuminato dalle sue gesta d’atleta”. Così recita la lapide scoperta il 2 marzo 1980, prima di un derby, che dedica lo stadio al giocatore italiano più forte di tutti i tempi. Peppino Meazza, come raccontava Gianni Brera nel coccodrillo dopo la morte nel 1979, era “el Fòlber”, era “il calcio”. Il “Balilla”, soprannome che gli era stato dato al debutto a 17 anni, era nato nel 1910 a Porta Vittoria dove sin da bambino divenne famoso per le sua abilità di palleggiatore. Il Milan lo scarta ad un provino – troppo magro – e lui si rifà con l’Inter alternando le partite di pallone alle bistecche pagate dalla società. Il suo scopritore è l’allenatore Arpad Weisz che lo lancia nel 1927 nella Coppa Viola giocata a Como. La tripletta con cui fa vincere l’Inter è solo l’inizio di una carriera strepitosa. Con l’Inter vince tre scudetti (1930 – 1938 – 1940) segnando 242 gol in 365 presenze; in nazionale gioca 53 partite segnando 33 gol e portando l’Italia alla vittoria dei mondiali del 1934 e 1938. Un vero fuoriclasse anche se a volte discontinuo. Visione di gioco mostruosa, classe, potenza e senso del gol: dribbla la difesa, chiama fuori il portiere e lo beffa all’uscita. Ma se sbaglia il primo pallone, sugli spalti gli spettatori scuotono la testa. Sanno già che quella domenica Meazza non farà il Meazza. Un mito in quegli anni per tutti gli italiani. Come racconta ancora Brera “chiunque, ragazzino, abbia “pedatato” negli anni trenta, almeno per un istante, un’ora, un anno ha provato a mitizzare se stesso nel suo nome.” Idolo dei tifosi interisti fece molto scalpore quando ultratrentenne passò al Milan, per il quale segnò anche il gol del pareggio in un derby del 1941, e poi alla Juventus. Questo, il Meazza giocatore che Annibale Frossi (giocatore dell’Inter dal 1936 al 1942 e poi grande giornalista di calcio) definì l’“Abc del calcio”, popolare come Rodolfo Valentino e Greta Garbo. Le donne stravedevano per lui. Il mito ci restituisce un episodio fra cronaca e fantasia: quando passa il sabato notte in un hotel in dolce compagnia e si sveglia solo al pomeriggio a mezz’ora dalla gara con il Brescia. Si precipita all’Arena quando i compagni pensano che sia stato vittima di un incidente o addirittura di un rapimento. Meazza compare dal nulla e senza dare spiegazioni (non ce n’è bisogno) si infila la maglia da gioco in tutta fretta, scende in campo, e per farsi perdonare segna una doppietta in mezz’ora. Questo il ritratto pubblico del campione. Diverso da quello che ci hanno raccontato le figlie Silvana e Gabriella che abbiamo intervistato qualche anno fa. La leggenda, infatti, ha sempre tramandato un Meazza vivace ed esuberante, amante del poker, del biliardo e delle belle donne. L’italiano perfetto, insomma, pure attaccatissimo alla mamma, a cui telefonava prima di ogni partita. Tuttavia, una volta sposato con Rita (nata a Genova ma ben presto trasferitasi a Milano), Giuseppe aveva messo la testa a posto. Pur restando disponibile e gentile con tutti, pur amando stare tra le persone, era piuttosto schivo, discreto. E con le figlie (entrambe… interistissime), soprattutto con la primogenita Silvana, era molto affettuoso ma abbastanza severo, un padre “di una volta” a cui bastava uno sguardo per farsi ubbidire. Con loro parlava in italiano, mentre con la moglie e gli amici usava il dialetto come si usava a quei tempi. L’infanzia non era stata facile per lui, orfano di guerra. Gli studi si erano fermati alle elementari. Ma una volta ottenuto il successo, non lo fece mai pesare, disinteressandosi del denaro. Così come non si occupava affatto di politica, tanto che non prese mai la tessera del fascio. Sempre elegante, Meazza amava il jazz, soprattutto Louis Armstrong ed Ella Fitzgerald, l’opera, Sergio Bruni e la canzone napoletana (lui, milanese d.o.c.). Uno dei suoi migliori amici fu il famoso pugile Dinamite Kid (o Kid Dinamite), alias Aldo Spoldi, campione europeo poi emigrato negli Stati Uniti. Grande chiacchierone, era stato soprannominato da Meazza “el sonaa”. Ma era anche legato a Lorenzi, gli piaceva discorrere a cena con i coniugi Fraizzoli. E nonostante fosse il simbolo dell’Inter, definiva i milanisti “cugini” e non era affatto fazioso. Ammirava Facchetti, che scoprì insieme ai due Mazzola. Ma anche Rivera. Del resto, lui rispettava tutti.