Lilo Hermann: la ricordiamo perché amava la causa della Libertà

Care lettrici, cari lettori, per non dimenticare, per ricordare, “Zona Franca” che ama leggere, conoscere, approfondire le storie delle donne che sono morte per la Libertà, questo mese racconta la storia di Lilo Hermann che, tra le altre, ha vissuto in nome di quella bandiera che si chiama Pace. Lilo, tedesca, fu assassinata da Hitler nella prigione di Plotzensee dove il boia le tagliò la testa. Quella donna era colpevole di avere – lei tedesca! – denunciato il nazismo come spaventosa macchina di guerra, e colpevole soprattutto di non aver accettato la “misericordia” del Fuhrer che s’era detto disposto a salvarle la vita se soltanto lei avesse rivelato un nome – che cos’è infine, il nome? – d’uno dei suoi compagni di cospirazione. A ventotto anni Lilo Hermann, studentessa di chimica, madre di un bambino di tre anni, preferì la morte al tradimento. A lei un poeta tedesco, Friedrich Wolf, dedicò poi un poema, che venne musicato da uno dei maggiori musicisti della Germania moderna, Paul Dessau, lo stesso che aveva scritto la maggior parte delle musiche per le opere di Brecht. Wolf aveva conosciuto la Hermann nel 1932, un anno prima che Hitler andasse al potere. La ragazza, che aveva allora diciannove anni – una studentessa modesta, dal viso tondo, le gote rosse, i capelli corti – dirigeva un gruppo di pionieri, e la sera aiutava coi suoi consigli un gruppo di giovani appassionati di teatro. Un giorno si recò dal medico, e quel medico era appunto Wolf: “Allora ero molto lontano dal pensare – egli racconterà – che quella giovane studentessa sarebbe stata un giorno il simbolo dell’eroica lotta delle donne tedesche contro il nazismo”. Conversando con lei, il discorso cadde sul miglior modo di educare i ragazzi: “La severità”, disse il medico. “La pazienza e la dolcezza”, replicò Lilo. Poi venne la presa del potere da parte dei nazisti, e per Wolf l’esilio. A Parigi, nel 1937, egli risentì parlare di Liselotte Hermann: una donna che era stata in prigione con lei a Berlino, andata a trovarlo, gli raccontò del coraggio della giovane madre che, malgrado la tortura, si era rifiutata di confidare ai nazisti il nome dei suoi compagni di cospirazione. Ma ci fu qualcosa di ben più atroce della tortura fisica: condannata a morte, Lilo venne portata nel carcere di Plotzensee, per essere decapitata. Il 16 giugno del 1937 il capo della Gestapo andò a trovarla: le garantì che al Fuhrer sarebbe dispiaciuto molto mettere a morte “una madre tedesca”, e che era quindi disposto a farle grazia; se proprio non voleva rivelare tutti i particolari della “cospirazione per la pace”, se proprio neanche la tortura poteva indurla a dire il nome di tutti i suoi compagni era sufficiente ne dicesse uno, almeno e solamente uno, così, “simbolicamente”. Ciò che ai nazisti premeva era soprattutto questo: di poter stroncare la resistenza morale degli oppositori, perché proprio in essa vedevano il maggior pericolo. Dicesse dunque quel nome, Lilo, ed avrebbe potuto tornare subito al proprio figlio: e, fatta aprire una porta, il nazista le fece vedere Walter, il bambino, che subito la invocò. Lilo Hermann non disse quel nome. L’ultima volta che era stata tratta dinanzi ai giudici, aveva risposto alle loro intimidazioni e minacce: “Che volete da me? Io son per voi una morta; e i morti non parlano più”. Il suo silenzio salvò qualche esile filo della resistenza clandestina tedesca al fascismo tedesco, e con questo l’estremo onore di un popolo che, nella sua maggioranza, al fascismo si era invece piegato. Wolf così ha cantato Lilo Hermann: “…ma la sua voce andò oltre i confini. Oggi ancora risuona la tua voce Lilo Hermann, sempre più forte, perché di nuovo la guerra malvagia si lambisce le fauci. Donne del mondo, mostrate il nemico con le dita, coi pugni, e gettate le armi nel mare, bloccate i binari, spegnete le micce: e salverete i vostri figli; ché mai nessuna causa fu più giusta di questa. Donne del mondo, finisca il terrore, finisca il dolore: oggi siete voi le più forti”.