Don Giovanni Macchi La Resistenza in parrocchia

Il 24 aprile abbiamo festeggiato la Liberazione di Niguarda e ci piace ricordare su queste pagine una figura che nel nostro quartiere ha dato un contributo fondamentale alla Resistenza, testimoniando il suo coraggio e la sua tenacia stando in mezzo alla gente. Parliamo di Don Giovanni Macchi, parroco nella Parrocchia San Martino di Niguarda dal 1912 al 1964, che ha vissuto nella nostra zona le due Guerre Mondiali e i primi anni del boom economico, un pilastro importante per la vita della comunità e amico fedele per molti parrocchiani. Don Giovanni nel 1943 ha già 68 anni, dopo l’8 settembre si mette a capo delle Brigate del Popolo del quartiere insieme al più giovane don Aniceto Bianchi. Le Brigate ebbero in genere un atteggiamento prudente, sia verso la popolazione che nei confronti degli avversari, con i quali evitarono provocazioni che potessero portare a rappresaglie sulla popolazione, così come con le formazioni partigiane di diverso orientamento politico cercando di collaborare con esse apportando un contributo di equilibrio, senza rinunciare ai propri principi. Insieme a suor Giovanna Mosna e suor Teresa Scarpellini dell’Ospedale di Niguarda, don Macchi ha organizzato l’assistenza ai detenuti trasferiti qui perché l’infermeria del carcere di San Vittore, causa un bombardamento, era inagibile. Incoraggiati da don Barbareschi, fondatore dell’Oscar (Opera scoutistica cattolica aiuto ricercati) suore, medici, infermiere del padiglione Ponti, dove erano alloggiati i detenuti ammalati e feriti, collaborano generosamente al fine di salvare e aiutare persone all’espatrio clandestino in Svizzera. Molti altri sacerdoti insieme a don Macchi appoggiarono l’Oscar. Alla fine saranno circa duemila gli espatri organizzati, tremila i documenti di identità e di copertura falsificati per permettere ai ricercati di sopravvivere. Per il cardinal Martini “la loro Resistenza fu anzitutto un’opera di carità, di ospitalità, di fratellanza: e fu proprio questo coinvolgimento dei preti con il loro popolo che li rese oggetto primo delle violenze tedesche e fasciste”. Nel gennaio ‘45, collaborando con il Clnai (Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia), don Giovanni viene incaricato dal cardinale Schuster di portare a termine le trattative per la salvaguardia delle principali strutture civili cittadine e regionali offrendo la sua casa quale rifugio per le riunioni clandestine.