Gemellaggio Russell/Zona Nove con 9 aspiranti giornalisti

La nostra redazione ha ospitato per il terzo anno di seguito e per la seconda volta quest’anno, nove ragazzi (Gaia Cirilli, Giulia Gregorio Tenente, Ludovica Mauriello, Giulia Pellegrino, Giorgia Puglisi, Alessandro Storelli, Riccardo Veschi, Zeja Wu, Beatrice Zani) del terzo e del quarto anno dell’Istituto B. Russell per il Progetto Alternanza Scuola-Lavoro. Lo stage si è svolto dal 9 al 13 aprile per un totale di quaranta ore in cui si è tenuto un corso sul giornalismo a cura del direttore Luigi Allori, con la collaborazione di Andrea Bina, Maria Piera Bremmi, Antonella Loconsolo, Angelo Longhi, Donata Martegani e Antonietta Gattuso. Il Progetto Alternanza Scuola-Lavoro, quando svolto bene, è una delle innovazioni più significative della legge 107 del 2015 ed è obbligatorio per tutti gli studenti degli ultimi tre anni delle scuole secondarie di II grado. Attraverso l’esperienza pratica aiuta a consolidare le conoscenze acquisite a scuola e testare sul campo le attitudini degli studenti, per arricchirne la formazione e aiutare ad orientarne il percorso di studio. Nei cinque giorni passati in redazione, oltre al corso teorico per illustrare il mestiere del giornalista, i ragazzi si sono dedicati alla stesura di vari articoli, come se facessero parte della redazione, per i quali sono serviti i suggerimenti del direttore che li ha seguiti al fine di sintetizzare, raccontare avvenimenti in modo obiettivo e sviluppare interviste a personaggi niguardesi. Si sono tenuti incontri con Clara Amodeo, giovane giornalista e collaboratrice di “Zona Nove”; Sergio Bernasconi, artista e storico niguardese, Andrea Bina, presidente dell’Associazione Amici di “Zona Nove”, Antonella Loconsolo, presidente della Commissione Educazione del Consiglio di Zona 9 nella precedente amministrazione comunale e attuale presidente Anpi Pratocentenaro, Angelo Longhi, presidente Anpi Niguarda, Stefano Morara, presidente associazione Civitas Virtus, Giovanni Poletti, autore del saggio “Milano, città Metropolitana”. Gli incontri con i relatori si sono tenuti presso la sede della redazione via Val Maira 4, la Sala Ghiglione di via Val di Ledro 23 e il Centro Culturale della Cooperativa di via Hermada 14. A tal proposito un grazie particolare va a Maria Piera Bremmi, responsabile del Centro Culturale, per la premura circa la gestione dell’organizzazione e l’ospitalità presso la Sala Ghiglione e il Centro Culturale stesso. L’esperienza è risultata positiva per tutti. Aver conosciuto gente impegnata quotidianamente, in modo volontario e per pura passione, in ciò che crede, è stato stimolante e costruttivo.
Gli articoli scritti da 9 aspiranti giornanisti
“Un buon giornalista deve saper leggere anche la carta del burro”.
Ecco gli ingredienti per diventare un buon giornalista.
La Curiosità. É ciò che ti ha spinto a leggere quest’articolo ed è anche una delle doti fondamentali per diventare giornalista. Lo sostiene Beppe Severgnini, giornalista, saggista e opinionista italiano, dicendo che un buon giornalista deve essere così incuriosito da qualunque cosa, tanto da leggere addirittura l’etichetta del burro. La nostra intervistata, Clara Amodeo, ci ha raccontato con entusiasmo la strada che ha percorso per arrivare ad ottenere il titolo di giornalista professionista. Con tenacia, passione e una buona penna é riuscita a diventare nel 2011 giornalista pubblicista facendo una collaborazione con un testata per 2 anni con un contratto, che prevede la produzione di almeno 60 articoli firmati per poi fare richiesta all’ordine dei giornalisti nell’elenco dei pubblicisti. Nel 2017 é diventata professionista, frequentando un master e superando l’esame di stato (a Roma). Le prove scritte prevedono la stesura di un saggio breve, il riassunto di una notizia e il “terribile quizzone”: una serie di domande riguardanti i più disparati ambiti del sapere (da Socrate a Fedez), in cui maggiore attenzione é rivolta alle conoscenze di economia e diritto, soprattutto penale. Alla prova orale é richiesta l’esposizione della tesina e numerose domande di cultura generale.
Gaia Cirilli, Giulia Gregorio Tenente, Ludovica Mauriello, Giulia Pellegrino, Giorgia Puglisi, Alessandro Storelli, Riccardo Veschi, Zeya Wu, Beatrice Zani.
Milano: Da città di mezzo a città in mezzo
Però senza mezzi (per ora)
Immagina una città in cui raggiungere il centro non sia più un problema; immagina di poter usare lo stesso biglietto del tram o del metro sia per il centro che per i Comuni limitrofi. Questa sarebbe una Città Metropolitana. Giovanni Poletti, già presidente della Cooperativa Abitare di Niguarda, Affori, Dergano e scrittore di saggi sullo sviluppo del territorio, ci presenta il suo punto di vista. Tutto parte dalla collaborazione tra i singoli individui: così come le cooperative (micro società fondate sullo spirito di collaborazione), anche le città metropolitane si presentano come promotrici di un atteggiamento solidale. Lo scrittore ha ricercato nella storia di Milano le radici alla base della sua apertura. Da sempre la città é stata caratterizzata da eterogeneità etnica e grande capacità di adattamento. Già il suo nome antico, “Mediolanum”, ossia città di mezzo, lo rivela. La città, centro di commerci, trasporti e comunicazioni, fin dalle sue origini ha continuato ad espandersi nel tempo. La Legge 56 del 2014 che ha istituito Milano come “città metropolitana”, avrebbe il compito di ridurre i problemi sia di Milano, sia dei 134 Comuni circostanti con l’obiettivo di realizzare l’integrazione, l’omogeneità e l’interazione delle diverse realtà, rispettando le autonomie locali. Tuttavia, per “Città Metropolitana” non si intende solo un punto di riferimento internazionale o una città importante per turismo ed economia, ma di un progetto di sviluppo, di equilibrio e di coordinazione dei diversi Comuni, per quanto riguarda risorse, trasporti, benessere, economia e molti altri settori.
Pellegrino Giulia, Puglisi Giorgia, Storelli Alessandro, Veschi Riccardo, Wu Zeya
L’ANPI di memoria
Facciamo luce sulle nostre radici
“Libertà e Costituzione, noi ci stiamo ora comodamente seduti sopra”: questo ci ha detto Angelo Longhi, presidente dell’ANPI di Niguarda. L’Associazione Nazionale dei Partigiani d’Italia è nata per mantenere la memoria di persone che hanno lottato proprio per la libertà e i diritti. Angelo Longhi ci ha raccontato la storia di alcune di queste persone, protagoniste della Resistenza contro i nazifascisti. Gina Galeotti Bianchi, nome di battaglia “Lia”, è stata la prima a cadere a Niguarda durante l’insurrezione nell’aprile del 1945, colpita a morte dai tedeschi mentre portava in bicicletta degli ordini insieme all’amica Stellina Vecchio che, invece, non venne colpita. Era incinta di qualche mese e all’amica aveva detto: ”Sono felice perché mio figlio nascerà libero!”. Restò talmente fedele che, arrestata qualche mese prima e incarcerata a San Vittore, aveva resistito per 36 ore sotto tortura senza far trapelare nessuna informazione. Durante la Resistenza erano importanti le Brigate d’Assalto, incaricate di procurare cibo, soldi e armi per tutti: Carlo Rovelli ne faceva parte ed era stato uno degli unici due sopravvissuti a una rappresaglia delle SS. “Abbiamo fatto quello che era necessario fare”, diceva. Grazie a Giuseppe Berna ora si può scioperare liberamente: fu uno degli organizzatori degli scioperi degli operai avvenuti tra il ’43 e il ’44. Fu denunciato da un’ausiliaria, fu arrestato e deportato a Mauthausen dove morì. A lui è dedicata una delle 27 pietre d’inciampo presenti a Milano, in via Hermada 4. Persone come queste ci insegnano e ci ricordano che la libertà è banale quando l’abbiamo, ma è fondamentale quando è assente.
Gaia Cirilli, Ludovica Mauriello, Beatrice Zani
Non è necessario essere dei superoi
Anche a Niguarda la lotta contro la mafia nasce da ognuno di noi
L’associazione Civitas Virtus di cui è presidente e fondatore il biologo Stefano Morara, nasce dalla volontà di alcuni cittadini del Municipio 9 di ribellarsi alla convinzione che non sia possibile opporsi alla criminalità organizzata. Lo stimolo che ha portato alla sua fondazione si è presentato con la vicenda dell’incendio del Centro Iseo nel 2011, provocato da una famiglia mafiosa della periferia nord di Milano, per protestare sulla mancata assegnazione dell’appalto per la gestione del centro sportivo stesso. I membri della Civitas Virtus, già amici e facenti parte di Comitati Genitori della zona di Niguarda, si riunirono in questa associazione perché indignati da questo episodio e insieme, cominciarono a proporre progetti che potessero, in qualche modo, approfondire e studiare il fenomeno delle infiltrazioni mafiose a Milano. Il presidente, Stefano Morara, racconta che la spinta che lo portò a voler approfondire questo tema, gli venne data dall’indignazione della figlia, già coinvolta da “Libera” nel “Presidio Lea Garofalo” per sostenere Denise. Lea Garofalo era la compagna di un boss della ‘ndrangheta calabrese, che però non condivideva le sue idee. Infatti, dopo che la speranza del cambiamento svanì, lo lasciò, e lui, per vendicarsi dell’offesa subita, la uccise separandola dalla figlia Denise. Nonostante tutta la sua famiglia sostenesse l’innocenza del padre, Denise era fermamente convinta della sua colpevolezza per la morte della madre. La ragazza decise comunque di testimoniare contro di lui e ci riuscì anche grazie al sostegno dato dai ragazzi dell’Associazione Antimafia “Libera”. Civitas Virtus propone un percorso sulla legalità alle scuole della zona con letture di testi, spettacoli e visite presso i beni confiscati alla mafia. Inoltre due anni fa, ha svolto a Milano, un’indagine sociologica sulla percezione del pagamento del pizzo da parte dei commercianti del Municipio 9. Tra i numerosi dati raccolti è importante sapere che: • L’87% degli operatori economici pensano che la mafia produca danni irreversibili all’economia; •Il 28% degli operatori economici, se sottoposti al fenomeno del pizzo, chiuderebbe l’attività, mentre solo il 39% denuncerebbe l’estorsione e l’11% chiederebbe aiuto ad un “amico” anch’esso mafioso; • Il 18% degli operatori economici andrebbe a testimoniare, il 36% sarebbe disposto a testimoniare solo se tutelato e il 30% non sarebbe disponibile a collaborare. Questi commercianti, inoltre, hanno affermato di avere più fiducia nella famiglia e nelle forze dell’ordine che nei partiti, nel Parlamento e nello Stato. Molti giornali, purtroppo, hanno attribuito a questi dati una sbagliata interpretazione, dicendo che questi atteggiamenti sono tipici di chi aderisce alla criminalità organizzata, quando in realtà sono segni di paura per mancanza di fiducia nelle istituzioni. É inoltre importante ricordare che ci sarebbero determinate tutele per chi decidesse di denunciare un’estorsione come per esempio il fondo Anti-Usura e lo Sportello Anti-Mafia, senza poi dimenticare che ci sono anche associazioni che possono supportare le persone in difficoltà. Ognuno di noi ha quindi il potere di scegliere tra abbassare la testa e subire l’intimidazione oppure reagire facendosi aiutare.
Gaia Cirilli, Giulia Gregorio Tenente, Ludovica Mauriello, Beatrice Zani
Niguarda a quadri
Dalla storia alla matita, dalla memoria alla carta
É così che Sergio Bernasconi ci narra la sua vita. Nato e cresciuto a Niguarda, l’artista ha riportato nei suoi quadri e nei suoi graffiti le immagini più significative dell’evoluzione del quartiere. “Ricordo quando giocavo coi miei amici sulle sponde del Seveso”. Queste sono le parole che hanno accompagnato le illustrazioni mostrateci dal pittore. L’asfalto di via Bauer su cui oggi camminiamo, ricopre quello che una volta era il letto del Seveso e, la zona in cui ora si trova la piscina Scarioni, in passato era occupata da un laghetto e da una boscaglia di robinia. Sergio, infatti, ci ha raccontato che durante la costruzione dell’Ospedale NIguarda, si era creata una fossa nel terreno, che poi venne riempita con le acque dei fontanili del fiume. Col passare del tempo questa zona divenne un vero e proprio “parco divertimenti” dove i giovani giocavano e di nascosto osservavano le “donnine allegre” che si lavavano. Oltre a questo il Seveso ha giocato un ruolo importante anche nell’economia di quello che era un paese: l’acqua del fiume si mescolava alla vita quotidiana degli abitanti ‘niguardesi’ che sfruttavano la sua pressione idrica per alimentare i mulini e per pulire i panni nelle lavanderie. Sono infatti numerosi i lavatoi in cui si recavano le donne, sia per il bucato familiare che per quello commissionato.
Giulia Gregorio Tenente, Giorgia Puglisi, Zeya Wu
I sogni sui muri
Street Art: la voglia di restare“illegali”
Artisti o imbrattamuri? È questo il dibattito che interessa un numero sempre maggiore di persone in tutto il mondo. Da una parte la cosiddetta “arte di strada” è vista come il rifiuto a omologarsi, a non rispecchiarsi in una categoria ben definita. Dall’ altra è considerata una nuova espressione di intendere e interpretare l’arte. Ma dove, quando e, soprattutto, come nasce la Street Art? Affonda le sue radici negli Stati Uniti, in particolare nella Subway, la metropolitana newyorkese, negli anni ‘70. Qui, in forma di graffiti e Tag dipinti sui vagoni dei treni, i writers avevano lo scopo di far conoscere il proprio soprannome. Ma chi sono i writers? Sono i figli della cultura Hip-Hop che si ramifica in Writing (graffiti), B-Boying (break dance), MCing (Rap), DJing (Dj), che esprime il disagio e la sofferenza degli abitanti dei ghetti e delle periferie americane. In Europa si diffonde soprattutto in Francia, Germania e Inghilterra. Per vederla in Italia bisognerà aspettare il 1984, a Milano, con le prime crew, cioè le prime bande di writers ( e le loro “murate” in via Bazzini, in via Brunelleschi, l’ Anfiteatro Martesana e altri luoghi in città… vedi Another Scratch In The Wall). Da noi assume però, con gli anni ‘90, una sfumatura negativa che sfocia in veri e propri atti di vandalismo sui treni e per la città, scontrandosi inoltre con la preesistente cultura Punk e con le istituzioni. Tuttavia gli artisti realizzano anche opere degne di nota e, sfogata l’aggressività iniziale, trovano un accordo con gli enti pubblici. Nasce così nel 2000 a Milano la Street Art legale, realizzata con sole figure a differenza dei graffiti e dei Tag, composti esclusivamente da lettere, tuttora illegali. Negli anni questo movimento ottiene sempre più successo e approvazione finchè nel 2007, presso il PAC ( Padiglione di Arte Contemporanea) viene allestita la prima mostra ufficiale di Street Art. A questo punto sono gli stessi artisti a indignarsi: la loro è nata come arte urbana e non deve essere rinchiusa in un museo; così come non necessita di restauri: il deperimento è naturale e l’artista considera già a priori lo scorrere del tempo, le condizioni climatiche e gli atti di vandalismo che potrebbero danneggiare il suo lavoro. Nonostante questo, nel 2016 a Bologna avviene il primo restauro: un murale di Blu viene “strappato”, portato in uno studio e, infine, esposto a pagamento in una mostra. Il Writer, indignato perché la sua opera non era più fruibile gratuitamente, decise di coprire tutte le sue altre opere nella città. E questo è un segno che gli artisti, anche se lavorano con il beneplacito delle autorità, non dimenticano il “cuore illegale” della loto arte.
Giulia Pellegrino, Alessandro Storelli, Riccardo Veschi