All’Hangar Bicocca la Città degli igloos

Entrare nelle navate dell’Hangar per visitare “Igloos” la mostra di Mario Merz da poco inaugurata è come trovarsi in un villaggio improbabile, inedito, che stupisce e suscita curiosità. L’insieme è una serie di igloos, diversissimi tra loro, grandi, piccoli, doppi, inseriti l’uno nell’altro come matrioske, massicci o aerei, scuri o luminosi, opachi o trasparenti, attraversati da oggetti che li trafiggono e li trapassano sconvolgendone l’equilibrio o da sentieri costituiti da pacchi di giornali. Chiaro-scuro, dentro-fuori, leggero-pesante: sono le contraddizioni che l’uomo vive sulla terra, nella vita. La struttura metallica è per ciascun igloo rivestita di materiali diversi di uso comune, panetti di argilla, vetri colorati o spezzati, pietre incastrate o appoggiate, acciaio, cumuli di fascine, sottili tessuti di nylon o tele grezze dipinte, catrame o piastre di cera d’api con frammenti di foglie d’oro e foglie secche. Spesso le cupole semisferiche dell’igloo sono rischiarate da frasi e slogan al neon o da cifre numeriche in neon che formano una serie di Fibonacci, cioè la sequenza matematica riscontrabile negli elementi naturali e concepita come capace di rappresentare i processi di crescita del mondo organico. Sono installazioni di delicata precarietà che richiamano la transitorietà, la provvisorietà della condizione umana. “L’igloo è una casa provvisoria – afferma infatti l’artista – e siccome considero che viviamo in un’epoca molto provvisoria, il senso del provvisorio per me coincide con questo nome: igloo”. Nato a Milano nel 1925 e vissuto a Torino fino al 2003, anno della sua scomparsa, Mario Merz, uno degli artisti più significativi del ‘900, inizia a dipingere nei primi anni ‘50. Nel decennio successivo supera la bidimensionalità del quadro e sperimenta opere volumetriche, inserendo nelle sue tele tubi al neon e oggetti quotidiani. Si pone quindi come uno degli antesignani in Italia a realizzare installazioni. Nel 1968 la sua ricerca di relazione tra natura e arte lo porta a creare il primo igloo, capostipite di una lunga serie che insieme alla pittura, alla scultura e alle installazioni, continuerà a realizzare lungo tutto l’arco della vita. L’igloo rappresenta per lui l’archetipo dei luoghi abitati, metafora delle relazioni tra interno ed esterno, tra individualità e collettività. A cinquant’anni dalla creazione del primo igloo Hangar Bicocca dedica a Mario Merz una mostra che raccoglie ben 30 di questi lavori provenienti da numerose collezioni private e da musei internazionali. Riuscire a recuperare e a ricostruire i vari igloos è stata un’impresa difficile che ha impegnato per ben 2 anni Beatrice Merz e il curatore Vicente Todolì ma il risultato è straordinario. Il percorso espositivo inizia con “La goccia d’acqua, 1987”, il più grande igloo realizzato per uno spazio interno, e si conclude con “Senza titolo (doppio igloo di Porto) 1998”, che colpisce per la presenza sulla sommità della struttura di un maestoso cervo impagliato. Tra i due, dislocati in odine cronologico, gli altri igloos che nell’ampio spazio espositivo delle Navate formano “un villaggio, un paese, una Città irreale” del quale il visitatore sente di far parte.