Niguarda: come dotarsi delle scoperte della nuova scienza medica. Intervista esclusiva al Direttore generale dell’ospedale Marco Trivelli

Marco Trivelli, dal 2013 ad oggi, prima come Commissario straordinario e poi come Direttore generale, è ai vertici della struttura ospedaliera di Niguarda.
Com’è cambiato dal suo arrivo il nosocomio? Sono solo sei anni ma guardando le trasformazioni, sia strutturali sia organizzative, sembra passata un’era geologica.
Per la verità la mia presenza a Niguarda è anche anteriore, pur nella diversa veste di direttore amministrativo. Fui infatti chiamato in questo ruolo nel 2006, dal direttore Pasquale Cannatelli, colui che ha avviato il profondo cambiamento strutturale di Niguarda. In effetti negli ultimi 10 anni con la costruzione dei due nuovi padiglioni, il Blocco Sud e il Blocco Nord, Niguarda è cambiata profondamente, aggiornando il modo di accogliere e curare i pazienti. Sono stati realizzati 920 nuovi posti letto e circa 250 locali per visite o prestazioni ambulatoriali. Mi voglio rimettere al giudizio dei cittadini di zona 9 per dire se il nuovo assetto sia gradito dai pazienti; ma è vero che il riscontro generale è che la qualità delle cure e la qualità degli spazi di cura siano commisurati, omogenei. La ristrutturazione del presidio non ha riguardato solo le aree sanitarie, ma anche il suo funzionamento operativo. Per esempio con il nuovo polo tecnologico, dotato di impianti di cogenerazione che hanno quasi azzerato la spesa per l’approvvigionamento di energia elettrica; oppure con il cosiddetto polo logistico che ospita in una struttura gradevole sotto il profilo estetico il magazzino, la farmacia, la cucina che sforna ogni giorno circa 3.500 pasti.
In effetti il volto dell’ospedale è profondamente mutato rispetto a quello originario.
Da un punto di vista sanitario in questi anni si sono sviluppate le caratteristiche genetiche della tradizione: una grande competenza, in tutti i settori della medicina; la capacità di trattare i pazienti complessi, in misura proporzionale alla capacità di lavorare sul paziente simultaneamente, da parte di tutte le componenti e di tutte le competenze necessarie. Cioè quello che chiamiamo multidisciplinarietà, che io ho imparato ad apprezzare proprio qui a Niguarda. La crescita di questi anni sul fronte sanitario è esemplificata dalla nascita dei dipartimenti funzionali, ovvero aggregazioni di strutture, diciamo di reparti, diversi per profilo (chirurgico, medico, diagnostico ad es.) ma accomunati dalla patologia trattata: Cancer Center, Cardio Center, Trauma Center ecc. Abbiamo voluto denominare questi nuovi dipartimenti con termini inglesi sia per comunicare con l’estero sia per marcare una differenza rispetto alle aggregazioni organizzative tradizionali che premiano in modo prevalente, quasi esclusivo, le competenze professionali specialistiche. Il valore dell’ospedale credo sia riconosciuto ed anche cresciuto: la sua reputazione popolare è alta; ma lo è ancora di più nel mondo clinico, per cui tante strutture milanesi e lombarde indirizzano qui i pazienti più difficili. È apprezzata la compattezza della nostra organizzazione, anche se problemi e difficoltà sono numerosi e in taluni casi anche manifesti.
Con la riforma della sanità regionale 23/2015 Niguarda ha assunto la denominazione di Grande Ospedale Metropolitano. Cosa ha comportato questa novità per i cittadini, per i lavoratori e a che punto è l’integrazione con i servizi distribuiti sul territorio che gli afferiscono?
L’intuizione della riforma è molto semplice e, a mio parere, molto centrata: un paziente cronico non guarisce, è malato in modo continuo. Curarlo non finisce nel ricovero, necessario e spesso salvavita, che permette di stabilizzare una fase di acuzie, ma seguirlo anche fuori dalle mura dell’ospedale. Quello che serve è una cooperazione dei medici di medicina generale e dei medici specialisti ospedalieri, che è difficile da concepire sia a livello culturale, perché ciascuno pensa di essere il vero “curante”, sia a livello operativo; per far capire la difficoltà operativa, i pazienti residenti a Milano curati negli ambulatori di Niguarda nel 2017 erano afferenti a quasi mille medici di medicina generale: come è possibile tenere relazioni costanti con loro e per loro con noi. E oltre al rapporto tra medico ospedaliero e medici di medicina generale (Mmg) bisogna pensare al fabbisogno di assistenza domiciliare, fatta da infermieri, fisioterapisti, medici; e poi al fabbisogno di strumenti di supporto, quella che noi chiamiamo protesica e che va dalla carrozzina al supporto respiratorio avanzato. È un mondo vasto e affascinante che da quest’anno rientra a pieno titolo nella competenza della Azienda Socio Sanitaria: non c’è solo l’ospedale, ma anche il distretto di Via Ippocrate e tante realtà diffuse, dai consultori alle strutture psichiatriche, dal servizio vaccinazioni alla struttura diagnostica di Villa Marelli che stiamo potenziando per la pronta diagnosi di patologie respiratorie e cardiache. Accorgersi della ricchezza delle competenze che ci sono nel nostro territorio è stata una grande scoperta ed è all’inizio la cooperazione: credo però che la maggior parte della “vecchia” componente ospedaliera – il personale transitato dalla ex-Asl, gli Mmg in cooperativa sia che lavorano in modo autonomo – sia oggi consapevole che nessuno può curare da solo! Credo che siamo sulla strada buona. La collaborazione con il Municipio 9 è stata fruttuosa. Il presidente Lardieri ha per esempio recepito i problemi della viabilità di accesso al Ps, promuovendo il riassetto di Via Majorana; il tema della educazione degli stili di vita e della prevenzione, organizzando i Martedì della Salute, che riprendono nelle prossime settimane; ha controllato in modo diretto le difficoltà di funzionamento, oggi in via di soluzione, del servizio odontoiatrico. L’assessore ai Servizi Sociali ha riconosciuto un supporto economico indispensabile per proseguire l’ambulatorio del decadimento cognitivo per favorire diagnosi precoce e presa in carico.
Sul sito del Niguarda campeggia questa sua frase: ”L’obiettivo finale è la trasformazione del Niguarda, per continuare a rendere l’organizzazione ospedaliera appropriata al mutare dei bisogni dei cittadini e al progredire della scienza medica e delle tecnologie.” Quali sono le prossime sfide che attendono il management e i lavoratori di questo grande ospedale?
Io credo che i traguardi siano due. Il primo rendere Niguarda l’ospedale di riferimento a Milano per la cura dei pazienti complessi in ogni ambito specialistico: questo vuol dire confermare lo stile di lavoro multidisciplinare; accettare ogni paziente; avere soddisfazione nel curare; avere la determinazione di seguire e contribuire a sviluppare il nuovo sapere medico ed assistenziale. Il secondo radicarsi proprio nella nostra zona, diventare un’organizzazione capace di intercettare tutte le energie vitali e positive di questa zona e allearsi con esse per fare in modo che vivere in zona 9 sia meglio per i bisogni di salute che, per esempio, in via della Spiga. Possono sembrare obiettivi limitati, ma credo che primeggiare a Milano voglia dire avere radici solide per affrontare le difficoltà economiche che inevitabilmente questa congiuntura economica ornai decennale riserva al paese e alla sanità in particolare, così come per emergere nel panorama internazionale; così come curare bene le persone di zona 9 possa diventare di esempio per tanti e quindi aiutare a curare anche molto oltre il nostro raggio di azione.
A fine anno scade il suo mandato di Direttore generale. Può tracciare un bilancio di questi impegnativi e proficui anni a capo del colosso pubblico? Quale progetto avrebbe voluto introdurre ma è rimasto nel cassetto?
Io sono grato di aver lavorato a Niguarda in questi anni; ho amato e amo ogni cosa e persona della nostra comunità professionale; credo di aver dato un contributo nel definirne l’identità e i compiti e di aver posto le basi per un sviluppo delle attività nel prossimo biennio. Invece sono dispiaciuto che, soprattutto per mie responsabilità, sia ancora difficile accedere alle cure presso Niguarda, intendo per liste d’attesa e per prenotare oppure per pagare un ticket; oppure che alcuni aggiornamenti tecnologici non siano avvenuti tempestivamente; che ci siano ritardi nel potenziare le terapie intensive; che alcune grandi team non abbiano avuto lo spazio che meritano. Di progetti nel cassetto ce ne sono tanti. Cito non in ordine di importanza: rifare le facciate dei padiglioni del Niguarda “vecchio”, per renderlo ancora più bello e accogliente; far diventare Villa Marelli il punto di accesso milanese alle cure per patologie respiratorie. Soprattutto mi preme che sia chiaro ad ognuno dei 4.500 professionisti che lavorano in Asst che il nostro compito, di grandissimo valore sociale, qualunque sia il ruolo che occupiamo, è quello di curare. La “scoperta” degli ultimi mesi per me è che gli esiti di cura migliori si hanno dove i pazienti sono in qualche modo presenti e codeterminano la cura. Adottare il punto di vista del paziente in ogni aspetto clinico e gestionale delle nostre organizzazioni sanitarie, favorirne la presenza, per quanto possa sembrare ovvio, ritengo sia doveroso approfondire e diffondere.