“Danze, balli e canti” la più allegra e colorata fatica di Gero Urso alla galleria Art Action

Come sarebbe la nostra vita se potessimo annullare alcune scelte sbagliate? La risposta è nel romanzo “CTRL+Z” di Margherita Giusti Hazon Valeria Casarotti-Teresa Garofalo A Natale il Libro Solidale “La Casa di Valéria” Beatrice Corà Chi frequenta il Mic (Museo Interattivo del Cinema) ha avuto forse l’occasione di incontrare Margherita Giusti che non è solo l’addetta stampa del Museo ma anche una bravissima guida che con competenza ed entusiasmo conduce i visitatori alla scoperta della storia del cinema e dei fantastici tesori che il Mic racchiude. Margherita però ha un’altra grandissima passione che ha radici lontane, quella per la scrittura “Ho iniziato a scrivere da bambina, un po’ di tutto, fiabe, poesie racconti – afferma – e a 12 anni ho creato il mio primo romanzo che ho ancora nel cassetto. Crescendo, alla passione per la lettura si è aggiunta quella per il cinema, infatti all’Università ho frequentato la Facoltà di Lettere Moderne a indirizzo cinematografico. Il cinema è un mondo nel quale ho sempre desiderato entrare e al Mic questo sogno si è realizzato. Il mio è un lavoro vario che mi piace tantissimo perché mi permette di avere rapporti con il pubblico. Per i ragazzi delle scuole gestisco anche laboratori di sceneggiatura, attività di grande interesse per me”. Fra i molti impegni Margherita ha trovato anche il tempo per scrivere e dare alle stampe “CTRL+Z”, un romanzo decisamente originale nello stile e nella struttura narrativa, una storia molto ben articolata che unisce le sue due grandi passioni. “Avevo in mente di scrivere una storia non definita in un unico luogo e in un unico tempo, in cui i protagonisti, tre coppie di innamorati, Emilie e Philippe, Marie e Lawrence, Sofia e Michele, vivono in tempi diversi, vivono vicende diverse ma sono accumunati da esperienze simili. Il romanzo quindi si sviluppa attraverso tre racconti, il primo ambientato nel 1895 a Parigi, il secondo a Vienna alla fine del ‘700, l’ultimo ai nostri giorni a Milano. In tutti e tre i racconti l’amore dei giovani è ostacolato da vari fattori spesso legati all’epoca ma non solo, la differenza di classe sociale, l’ambizione, la difficoltà di comunicazione, il vuoto esistenziale, la paura di osare e di sfidare le convenzioni. Volevo parlare dell’implacabilità del tempo che scorre, delle possibilità e delle occasioni mancate che spesso ci rovinano la vita, dell’incapacità di cancellare gli errori e le scelte sbagliate. E il cinema? Che ruolo gioca nel romanzo? “Nella prima storia Emilie e Philippe si incontrano in occasione della prima proiezione pubblica dei fratelli Lumière, un evento che ho raccontato in modo particolareggiato, un omaggio alla nascita della nuova musa nella quale nessuno allora sembrava credere, nemmeno i Lumière che la ritenevano un’invenzione senza futuro. Philippe ne resta invece affascinato tanto da pensare che al cinema avrebbe dedicato la sua vita. La protagonista dell’ultima storia, Sofia, lavora Al Mic, il Museo del Cinema. Nascosti in una lanterna magica, uno strumento ottico di fine ottocento antenato del cinema, un giorno scopre per caso una collana e un vecchio plico. Attraverso la lettura di quei fogli giallognoli consumati dal tempo conoscerà l’infelice storia di Philippe che per inseguire quella che riteneva la sua grande occasione, aveva abbandonato l’unico e grande amore, Emilie, e sprecato la vita dietro al nulla. È una lettura illuminante per la ragazza che improvvisamente sente di ‘essere non solo Sofia’ ma molto altro: lei è tutte le persone che nel corso del tempo avevano provato ad amarsi, quelle che erano state separate, quelle che non si erano incontrate per una frazione di secondo, quelle che si erano amate una sola notte. Questa consapevolezza le cambierà completamente la vita. Il filo rosso che unisce le tre storie è certamente l’amore, un sentimento forte e profondo che va oltre il tempo per continuare a esistere in altre vite e in altri luoghi, così come comune a tutti i personaggi del romanzo è la sensazione di aver già vissuto in passato e poter vivere in futuro altre esistenze. “Mi è molto difficile liberarmi dall’idea di averti già conosciuta in un’altra epoca di cui ho solo vaghe sensazioni – così scrive Lawrence a Marie. Mi capitano a volte delle oscure visioni della mia giovinezza, e di te insieme a me, dentro a strani rimasugli di memorie andate. L’unica cosa che mi dà speranza è l’idea folle di altre esistenze. Farò di tutto per trovarti di nuovo in altre parti del mondo e conquistarti. Farò di tutto per riconoscerti fra le 1000 anime che incontrerò nei prossimi centomila anni”. Un ruolo fondamentale nelle tre storie lo gioca il Tempo, inesorabile e veloce nel suo scorrere. a volte amico, a volte persecutore. “Unica cosa che non finisce mai” il Tempo è rappresentato da Zenith, il signor Reverso e Costantino Vacheron, tre personaggi bizzarri il cui nome richiama famose marche di orologi, tre figure un po’ demoni, un po’ maghi, un po’ astrologi, che sembrano venire da lontano e muovere i destini degli uomini. Un romanzo avvincente raccontato come una sceneggiatura, molto visivo, con tanti flash back che lo vivacizzano e avvicinano alla lettura in modo piacevole. Ben descritti gli ambienti e approfondita la psicologia dei personaggi, nei quali è facile che tanti di noi si possano riconoscere. Quanti avranno vissuto esperienze di questo tipo, e cioè di non riuscire a raggiungere gli obiettivi per poco, perché bloccati dal timore di non farcela o condizionati da mille motivi? Quanti avranno avuto a volte la sensazione di sentirsi costretti come in una prigione, non completamente liberi nelle loro scelte? E a tutti noi sarà capitato di fare scelte sbagliate, desiderare di voler tornare sui nostri passi e con un colpo di spugna cancellare il passato. Il senso del libro è proprio nel suo titolo. CTRL+Z sono infatti quei tasti del computer che permettono di tornare indietro e di cancellare l’ultima azione, tasti che sarebbe meraviglioso avere anche nella nostra vita reale. Una caratteristica dell’artista Gero Urso è la capacità di cogliere e fissare sulle tele scene di vita popolare che hanno come protagonisti gente semplice, spontanea, spesso rappresentata nei momenti di allegria e divertimento condivisi, feste, matrimoni, balere, sfilate per le strade con banda in prima fila che coinvolge la comunità. Ed è proprio la musica di una banda, Banda Odessa, ad aver ispirato Gero a realizzare con il suo inconfondibile stile una serie di quadri in esposizione fino al 20 dicembre nella galleria Art Action di Bresso. “Danze balli e canti”, questo il titolo della mostra, dice tutto dei quadri che ci accolgono entrando nella galleria e subito ci trasmettono un senso di serenità, di grazia, talvolta di garbata ironia, talvolta di briosa complicità e, in chi non è più giovanissimo, risvegliano lontani ricordi. Ma la passione dell’artista soprattutto per la figura della ballerina è remota; la danza classica con le giovani danzatrici in una dimensione sospesa tra realtà e sogno da sempre lo affascinano. Così accanto alla piacevolissima bionda che in leggero abito rosso e scarpe comode da ginnastica balla con un cavaliere in gilet, papillon, cappello rosso con fascia bianca e scarpe in vernice bianche e nere, troviamo la ballerina classica che in body sullo scintillante palcoscenico di un bellissimo teatro ottocentesco prova passi di danza. E accanto a coppie di ballerini, ragazze con minigonne vertiginose, fiori tra i capelli raccolti in semplici code di cavallo e ragazzi in pantaloni dai colori più improbabili, giacca, cravatta e stivaletti, che in una balera si scatenano sulle note di allegre musiche popolari, troviamo un gruppo di giovani allieve che in un’elegante scuola di danza classica imparano ricercati passi sotto la guida severa di una insegnante. Il filo che collega i quadri in esposizione è la musica. In “Country girl” è palesemente suggerita da un violino suonato in aperta campagna da una ragazza, in “Ser Tanz” da una tromba e un sassofono che danno il ritmo a una coppia seguita nei volteggi dai presenti in un locale da ballo, in “Rapsodia” da un giovane in frac e stivaletti che accompagna con il suono del suo violino la ballerina in tutù bianco. Una mostra veramente piacevole nata, come spesso accade agli artisti, quasi per caso. “Maneggiando il mio smartphone – così ci spiega Gero Urso – mi è capitato di imbattermi in scene di danze popolari dell’est Europa accompagnate da musiche frenetiche e coinvolgenti. Sono stato letteralmente rapito dalla vivacità della band, la Band Odessa, e dalla maestria e sicurezza dei movimenti dei giovani ballerini. Ho subito desiderato trasferire sulla tele queste mie emozioni ed è nata così di getto la serie di quadri oggi qui esposti”. Una mostra, come nello stile di Gero, all’insegna di un realismo analitico attento ai dettagli delle pose, delle movenze dei ballerini, delle figure di danza e alla rappresentazioni degli ambienti. Da non perdere.