Riccardo: “Il pugilato è stato la mia redenzione”

Corde, sacchi, guantoni. Il timer che scandisce il tempo che passa e i round che si susseguono. Il ring al centro della palestra, imponente. Di fianco un tavolo dietro al quale è seduto Riccardo Merafina, classe 1987, pugile professionista nato e cresciuto nella nostra zona. Sguardo schivo e fiero. Un corpo scolpito racchiuso nell’inchiostro dei tatuaggi che sembrano avere molto da raccontare. E una storia alle spalle che per un pugile sembra essere quasi scontata, ma che in fondo ci racconta più di mille convegni su come ci si possa salvare da un destino che in certi quartieri sembra essere ineludibile.
Lo andiamo a trovare nella palestra di via Valmaira dove insegna pugilato, all’interno del centro sportivo Scarioni. Uno spazio rimasto inutilizzato per più di quindici anni, ora diventato un centro importante nel quartiere, grazie all’intuizione del Comune di Milano che lo ha affidato ai ragazzi della Total Natural Training. Un luogo nato per ospitare innanzitutto il parkour, diventato anche un vero centro per gli sport da combattimento – è la sede dell’Associazione Sportiva Dilettantistica Milano Boxe – e per altre attività che coinvolgono persone di ogni fascia d’età.
Riccardo, rompiamo subito il ghiaccio con la domanda più importante. Che cosa rappresenta per te il pugilato?
“La mia salvezza. Il pugilato mi ha permesso di riscattarmi, mi ha tolto dalla strada. Oggi non riesco a immaginare la mia vita senza questa routine, senza la mia quotidianità da atleta. La sveglia, il sudore in palestra, il corpo stremato dall’allenamento, la disciplina, la soddisfazione per ogni singolo progresso”.
Riavvolgiamo per un attimo il nastro della tua storia allora e torniamo agli inizi. Tu sei nato e cresciuto nella nostra zona.
“Ho frequentato la scuola Locatelli alle elementari e la Tommaseo alle medie. Purtroppo in quel periodo i miei genitori si sono separati e per me è stata dura. Ho sofferto molto e sono dovuto crescere in fretta. Mio padre non è stato presente per cause di forza maggiore, perché ha avuto qualche problema con la giustizia. Mia mamma ha dovuto mandare avanti la famiglia con tutte le difficoltà del caso, mentre io mi prendevo cura di Alessandro, mio fratello più piccolo (oggi anch’egli istruttore nella stessa palestra, ndr). È stato in quel periodo che ho cominciato a frequentare cattive amicizie”.
Questa è una situazione che forse capita più facilmente se si cresce in alcuni quartieri di periferia? Quasi ci si scivola dentro senza accorgersene. Non è mai tutto bianco o nero come sembrerebbe da fuori. Non ci sono solo buoni o solo cattivi.
“Purtroppo questa era una zona che non offriva molte possibilità, e le cose non sono molto cambiate”.
La boxe faceva già parte della tua vita?
“Mi sono avvicinato al pugilato da piccolo. Mio papà allenava me e mio fratello. A 14 anni ho cominciato ad allenarmi più seriamente. In quel periodo però – a causa di quello che mi era accaduto – questo sport ha tirato fuori la cattiveria che avevo represso e sfogavo non solo in palestra. Il pugilato non era il mio centro, era solo uno dei modi che avevo esternare le sofferenze che avevo dentro. Il mio lato più ribelle, senza una guida, mi ha portato a fare molti errori”.
E quando si fanno gli errori poi, purtroppo, si deve pagare un prezzo…
“Sì. Quando si sceglie di vivere nell’illegalità poi inevitabilmente a un certo punto arriva il conto da pagare. Quello è stato il momento in cui ho percepito che dovevo ritrovarmi. Ho tirato le somme del percorso fatto fin lì e ho capito che non era quello che volevo per la mia vita. Ho dovuto fare un grande passo indietro. Mi sono domandato quali fossero le cose che sapevo fare meglio. Purtroppo non avevo un mestiere. La cosa che sapevo fare meglio di tutte era il pugilato: ho pensato quindi che avrei potuto trasformarlo nel mio stile di vita e in un’onesta fonte di guadagno”.
Quanto è stato duro il rientro?
“Quando ho deciso di rimettere tutto in discussione pesavo 120 kg. Ho dovuto perdere 40 kg in 4 mesi. Ho sofferto. Sia psicologicamente che fisicamente. Avevo gli acciacchi tipici di chi da tempo non ha uno stile di vita sano e ricomincia ad allenarsi. Le ginocchia soffrivano, mi sono sottoposto a un’operazione al menisco. Ho dovuto lottare innanzitutto contro tutte le difficoltà che si mettevano fra me e il giorno del rientro. Per non deludere innanzitutto me stesso, per evitare di tornare a fare cavolate, per stare lontano delle tentazioni, con grande forza di volontà ho recuperato quello che in molti pensavano fosse irrecuperabile. Mi sono ritrovato. E ho ritrovato il ring”.
C’è voluto tanto tempo?
“Ho ripreso da due anni e mezzo. Dopo il primo periodo sono riuscito a raggiungere il peso di 80 kg. Solo a quel punto ho potuto riprendere a fare boxe a livello agonistico. Ho cambiato diverse palestre e alla fine mi sono fermato alla Glorius Fight Gym di via Solari, dove insegna il mio attuale maestro. Dopo sei mesi di preparazione sono ripartito con un primo incontro da dilettante. Ho sostenuto un altro paio d’incontri per raggiungere il punteggio necessario per passare professionista: il mio sogno nel cassetto e anche quello di mio padre. È stato il coronamento dei miei sforzi. Combatto da quando ho 18 anni e ho alle spalle 32 match più 4 da professionista”.
Per aiutarci a sconfiggere i nostri demoni l’amore gioca un ruolo rilevante. È così anche per te?
“Ilaria ha un ruolo fondamentale nella mia vita. Mi ha permesso di creare tutto ciò che di bello stiamo vivendo oggi. Il suo aiuto quotidiano è essenziale. Il mio impegno non si esaurisce nell’allenamento. Quando torni a casa devi avere un certo stile di vita, bisogna fare la spesa in un certo modo, con determinate grammature, specifici metodi di cottura degli alimenti. E poi lei sopporta le tante piccole crisi che ci sono durante le lunghe preparazioni, causate dagli allenamenti duri, dalla fame, dallo stress. Ci sono tensioni che possono essere alleviate solo dalla mia famiglia. Esiste un cerchio che si chiude intorno alla mia vita di atleta ed è composto dalle persone che mi vogliono bene, condividono il mio sogno e mi spronano a raggiungerlo”.
In questo cerchio c’è sicuramente Il tuo attuale maestro Francesco Trimboli. Che rapporto hai con lui?
“Senza di lui oggi non sarei qui. Francesco è riuscito a tirare fuori il lato positivo che c’è in me. Prima come uomo e poi come sportivo. Se non c’è qualcuno che ti capisce, che ti stimola sempre a migliorarti, che ti sprona, è difficile andare avanti da solo a questi livelli. Non tutti alle sei di mattina si alzerebbero per andare a correre sotto la pioggia, a digiuno dal giorno prima, per provare a rientrare in una certa categoria di peso”.
Oggi da professionista hai iniziato a collaborare con la OPI Since 82, una delle società più importanti nel panorama pugilistico italiano.
“Sì, sono molto orgoglioso di questo primo piccolo risultato. Abbiamo iniziato questa collaborazione con i Cerchi e la loro società. Sono i migliori agenti e promoter italiani. Basti pensare che hanno aperto da pochi giorni un sodalizio con Eddie Hearn, società leader nella promozione del pugilato nel mondo”.
Il pugilato in Italia ha una grande tradizione, ma ultimamente sembra non essere più vissuto come un tempo. Colpa della cattiva nomea che si è fatto?
“Questi sono pregiudizi. Invito tutti a entrare nelle palestre dove oggi si pratica la boxe. Ho trovato gente più leale e corretta nelle palestre di pugilato che fuori. Durante gli allenamenti si fatica insieme, si parla di nutrizione sana, di obiettivi da raggiungere, di come riuscire a dare il meglio di sé. Oggi questa percezione sta lentamente tornando. D’altra parte il pugilato fa parte della storia del nostro Paese”.
Diversamente da quanto si pensi c’è grande rispetto fra pugili. “
Serve coraggio per salire sul ring. C’è una cultura del rispetto che si percepisce da quando si mette piede in palestra. Al di là dello spettacolo sportivo, ognuno di noi vuole imparare e migliorarsi, e per fare questo serve confrontarsi con l’altro. È una sorta di scambio, di alleanza”.
Però dicono che sul ring ci si senta soli. Confermi?
“È il posto dove ci sente più soli al mondo. È una battaglia psicologica che si combatte giornalmente. È dura salire sul ring. Nel calcio puoi passare il pallone a un compagno quando sei stanco. Nello sci ti fermi se non ce la fai più. Sul ring non ti puoi fermare. L’avversario non ti concede tregua. Ci sei solo tu, con le tue paure più profonde, la tua preparazione fisica e la voglia di portare a termine quello che hai iniziato”.
Ultima domanda. Oggi sei uno dei pugili più seguiti a Milano. Sei un esempio per tanti. Hai scelto la parola redenzione come slogan per il tuo percorso sportivo. Come diresti ai ragazzi del tuo quartiere?
“Il messaggio che voglio dare è positivo. Ognuno può riscattare i propri errori. Ognuno può sconfiggere i propri demoni. La redenzione è possibile. Sto pensando da molto tempo cosa fare per togliere ragazzi dalla strada prima che sbaglino, prima che capiti loro quello che è capitato a me. In un futuro vorrei organizzare corsi gratuiti per non può permettersi le rette delle palestre. Fare volontariato per far incanalare la cattiveria nello sport. Magari potremmo trovare in questo modo qualche nuovo campione. Perché la boxe ti chiede tanto, ma regala emozioni che nessun altro sport è in grado di suscitare. Perché è attraversando la sofferenza che ci si può sentire più vivi che mai”.
Foto prese dagli account Facebook Riccardo Merafina e Milano Boxe