A Palazzo Marino Luigi Sturzo, cent’anni dopo

Il 28 gennaio, presso la Sala Alessi di Palazzo Marino, una tavola rotonda su Luigi Sturzo. Numerose persone hanno introdotto il convegno quali: Lamberto Bertolè (presidente del Consiglio Comunale), Beatrice Uguccioni (vicepresidente del Consiglio Comunale) (vedi foto), Alessandro Galimberti (presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia), Monica Forni (presidente dell’Ucsi Lombardia), Alberto Mattioli e Pino Nardi (curatori del volume: “Liberi e Forti”). Inoltre, sono intervenuti: Matteo Truffelli, docente di Storia delle dottrine politiche all’Università di Parma e presidente dell’Azione Cattolica Italiana, Antonio Carioti, giornalista del Corriere della Sera, Rosy Bindi, già presidente della Commissione parlamentare antimafia (vedi foto), e Marco Vitale, economista e opinionista. Il 18 gennaio di cento anni fa Luigi Sturzo disse: “A tutti gli uomini liberi e forti facciamo appello perché uniti insieme propugnino nella loro interezza gli ideali di giustizia e di libertà”. Queste parole, ancor oggi,fanno riflettere sul progetto che sappia congiungere il giusto senso dei diritti e degli interessi nazionali con un sano internazionalismo. Venne da lui fondato il Partito Popolare e poi la Democrazia Cristiana. Il ricordo dei valori di Luigi Sturzo vuol essere un messaggio di speranza per poter guardare avanti senza dimenticare, però, i riferimenti importanti del nostro passato. Venne riconosciuta la sua lotta per la libertà, con voto unanime, dal consiglio comunale di Siracusa nel 1951 e, nel 1952, fu nominato senatore a vita da Luigi Einaudi (presidente della Repubblica d’allora). Uno dei primi testi a parlare esplicitamente dei “mafiosi” fu scritto da lui nel marzo del 1959 su “Il Giornale d’Italia”. Nato nel 1871 a Caltagirone, morì a Roma, a 87 anni, e fu sepolto nella chiesa del Santissimo Salvatore a Caltagirone. Nel 2017 si è chiusa a Roma la fase diocesana della causa di beatificazione quale Servo di Dio. Di se stesso usava dire: “Io sono un sacerdote, non un politico”. Andò anche in esilio: prima a Londra poi a Parigi e infine a New York ove intrecciò rapporti con Arturo Toscanini, Mario Einaudi e molti altri esuli. Venne definito “Himalaya di certezza e di volontà” dal suo amico non credente Gaetano Salvemini. “Fu prete e politico scomodo, fu odiato da Mussolini per il suo rigore nello spiegare l’inconciliabilità tra cristianesimo e fascismo. Maestro di laicità, è stato: filosofo, sociologo, economista, amministratore pubblico e giornalista”, così scrive Alberto Mattioli, uno dei curatori del libro. E Rosy Bindi dice: “La sua preveggenza insieme al coraggio di chiamare ‘Mafia’ quello che accadeva in Sicilia. La riconobbe e ne descrisse il metodo e, per quegli anni in Sicilia, non fu cosa scontata ed anche fino ai giorni nostri in Italia e in ogni parte del mondo. La mafia esercita il suo dominio nei territori della Sicilia, della Campania, ma il suo potere è a Roma”.