Un pallone per resistere a Mauthausen

Sopravvivere al campo di concentramento perché si sa giocare a pallone. Questa l’incredibile storia che insegnanti e studenti del Civico Centro di Istruzione per l’Adulto e l’Adolescente “A. Manzoni” hanno sentito raccontare da Manuela Valletti Ghezzi, figlia di Ferdinando, calciatore del Milan nei primi anni ’40, di cui abbiamo già scritto lo scorso anno in occasione della Giornata della Memoria. Deportato a Gusen come “politico” a seguito degli scioperi all’Alfa Romeo del marzo 1944 e trovatosi aggregato nella squadra delle Ss per l’assenza di un soldato, Ferdinando riuscì a salvarsi e a salvare altri suoi compagni grazie al suo successivo trasferimento in cucina, da cui poteva prelevare di nascosto qualcosa da mangiare. La sua vicenda, ripresa in un libro dalla figlia giornalista e in un documentario da Mauro Vittorio Quattrina (entrambi intitolati “Deportato I 57633 voglia di non morire”), è stata la protagonista dell’incontro “Un pallone a Mauthausen” a cui Zona Nove è stata invitata e che si è tenuto il 5 febbraio presso l’Aula Magna del Polo Scolastico “A. Manzoni” di via Deledda alla presenza di Laura Galimberti, assessore all’Educazione e Istruzione del Comune di Milano, di Sabina Banfi, direttore Area Servizi Scolastici ed Educativi del Comune, dei giornalisti Manuela Valletti Ghezzi e Davide Grassi. Il quale, alternandosi con la collega, ha presentato alcune storie di sportivi che hanno avuto a che fare con la dittatura nazifascista. Perché, se Ferdinando Valletti riuscì a rientrare a Milano, abbracciando la figlia Manuela che non aveva mai visto (la moglie era incinta quando era stato caricato sul Binario 2) altri non ebbero la stessa fortuna come l’allenatore di origine ebraiche Arpad Weisz, vincitore di scudetti con Inter e Bologna, che venne catturato in Olanda e finì i suoi giorni ad Auschwitz. Mentre al lager non arrivò nemmeno quel fuoriclasse (paragonabile a Messi) di Matthias Sindelar, che durante la “partita della riunificazione” tra Austria e Germania si rifiutò di salutare con il braccio teso e in seguito più volte si espresse contro il nazismo. Nella sua morte, provocata da una fuga di gas nel suo appartamento, in molti hanno visto la mano vendicatrice della Gestapo. Queste vicende, raccontate con foto e immagini, hanno molto interessato il folto pubblico che ha potuto così conoscere un risvolto particolare dello sport di cui, purtroppo, si parla pochissimo.