I buchi neri visti da Chicago per Niguarda

Nei giorni passati abbiamo tutti visto sui media le immagini sfuocate di quella ciambella di luce dorata che ci hanno detto essere l’immagine di un buco nero, chiamato Sagittario A. Prima di tutto, che cos’è un buco nero? È un corpo celeste con un campo gravitazionale così intenso da non lasciare sfuggire né la materia né la radiazione elettromagnetica, ovvero è una regione dello spaziotempo avente una curvatura sufficientemente grande, relativisticamente parlando, che nulla al suo interno può uscire all’esterno, nemmeno la luce. Poi abbiamo letto che questa imagine conferma la teoria della relatività generale e altre teorie cosmologiche di grandi scienziati del calibro di Albert Einstein, Stephen Hawking e Roger Penrose (che è l’unico dei tre vivo e vegeto, e non si capisce perché nessuno lo abbia intervistato). L’immagine ha generato entusiasmo perché, si è detto, per la prima volta possiamo letteralmente vedere un buco nero. Però, attenzione, non è proprio così. È vero che l’immagine conferma la teoria, ma non è certo la prima volta che essa viene confermata (ricordate le onde gravitazionali?). Inoltre, quell’immagine in realtà non è una fotografia del buco nero: è una ricostruzione al computer dei dati forniti dagli otto telescopi dell’Event Horizon Project, a cui è stata data una veste grafica. È un’immagine generata al computer, ma non del buco nero, che è per definizione di principio invisibile, dato che è così denso che nulla può uscire da esso, neppure la luce. È la ricostruzione della radiazione emessa da materia che si è avvicinata troppo al punto di non ritorno, superato il quale si è destinati a rimanere nel buco nero per sempre (e che succede a questa materia una volta dentro? Bella domanda. Chi saprà rispondere avrà risolto uno dei più grandi misteri dell’universo). E non è neanche la prima elaborazione al computer di un buco nero: nel 1979, l’astrofisico Jean-Pierre Luminet (un nome un destino) ne produsse e pubblicò una che in seguito ha ispirato la fotografia del film “Interstellar” di Christopher Nolan (2014). Quello che invece è vero è che la teoria e la pratica, con le debite precisazioni, vanno ben d’accordo: l’immagine di Luminet usava dati teorici, quella nuova dati sperimentali, e si assomigliano davvero tanto. A questo punto si pone però un un altro grosso problema. Certo, questo risultato è sicuramente un grande successo per le teorie coinvolte e per la fisica in generale. Come qualche tempo fa era stata un grande successo la scoperta sperimentale del bosone di Higgs al Cern di Ginevra. Sembra facile concludere che la fisica è confermata. Possiamo quindi sentirci felici? Sì, ma senza riposare sugli allori. Come tutti i dati che confermano una teoria, questo risultato è quello che tutti si aspettavano, senza mostrare dettagli che possano indicare una fisica nuova, su cui speculare. Le scoperte piú emozionanti sono invece quelle in cui la teoria fallisce, in cui gli esperimenti mostrano che non avevamo visto giusto. A maggior ragione visto che la teoria della relatività generale da una parte (con questa conterma) e la meccanica quantistica (con la conferma dell’Higgs) sono in forte tensione tra di loro e non possono essere vere entrambe. Né Higgs né Sagittario A suggeriscono in alcun modo come uscire da questa impasse. E questo ci obbliga a rimboccarci ancora le maniche.