I giovedì della Trattoria Arlati con Il Milanese Imbruttito, Pirini e Attanasio

I giovedì di cabaret della Trattoria Arlati restano nel solco della tradizione culinaria-artistica del locale di via Alberto Nota. Gli aficionado degli anni ’70-’80 ricorderanno come non era difficile imbattersi in quel periodo in jam session improvvisate da artisti come la Formula 3, gli Area, Lucio Battisti, Renato Zero, Loredana Bertè, solo per fare alcuni nomi. Oggi la storia artistica continua nel “sotto” della trattoria con lo spettacolo “Cabaret e zone limitrofe”. Sul palco Flavio Pirini e Germano Lanzoni (il Milanese Imbruttito!) accompagnati dal chitarrista Orazio Attanasio e sotto la direzione artistica di Carlo Casalini. E così, mentre i commensali, in una serata piovosa d’aprile milanese, si riscaldano davanti un risotto con l’ossobuco annaffiato da un buon rosso noi ne approfittiamo per scambiare due chiacchiere con gli artisti pochi minuti prima che salgano sul palco.
Flavio, raccontaci la tua storia artistica.
Nasco come cantautore ma con gli anni la passione per il cabaret ha influenzato il mio modo di stare in scena. Oggi nei miei spettacoli propongo il teatro canzone dove mescolo canzone e monologhi presentando brani più tipicamente cantautorali accanto ad altri recitati. Nel 2017 mi sono anche esibito come attore insieme a Walter Leonardi nello spettacolo “Coma quando fiori piove”.
Le tue canzoni vanno dal surrealismo di “Ferrari Verde” all’esplorazione della nevrosi di “Caffè, sigaretta” passando per una storia di fabbrica con “La triste storia di Luigi senza rime” che a mio avviso sembra la naturale continuazione della storia di Vincenzina.
L’accostamento al brano di Jannacci è per me è un grande complimento. “La triste storia di Luigi senza rime” nasce in quel filone di canzoni e dai miei ricordi d’infanzia. Sono cresciuto infatti vicino alle fabbriche Snia e Acna di Cesano Maderno e ai relativi villaggi dove vivevano i dipendenti con le loro famiglie. Mi è piaciuto raccontare i valori umani di quegli operai che vedevo ogni giorno e che si sono trovati a fare i conti con le prime casse integrazioni degli anni ’70-’80, accennando anche al dramma dell’eroina esploso in quel periodo.
Orazio, invece tu sei un musicista autodidatta. Oltre a cantare suoni chitarra, mandolino, violino, tastiere e armonica. Come nasce questa passione per la musica?
Ho cominciato da piccolo con un pianofortino regalato da mia zia poi a 12 anni la svolta ascoltando l’hard rock degli AC/DC. Da quel momento mi sono innamorato della chitarra che come cantava Bennato “nei sogni di bambino era una spada..”. Così ho iniziato ad esercitarmi da solo nella mia stanza e su richiesta degli amici, una sorta di juke box vivente, magari intorno ad un falò in spiaggia. Poi, trasferitomi a Milano da Catanzaro per amore, ho iniziato la gavetta ottenendo il diploma di fonico e cominciando a lavorare come tecnico in spettacoli di musica e teatro, prima con compagnia Atir e poi con Renato Sarti e Bebo Storti al Teatro della Cooperativa. Nel 2007 ho fondato con Francesco Arcuri la “Fonomeccanica”, una band di polistrumentisti con i quali abbiamo accompagnato in tour Paolo Rossi nello spettacolo “Studio per la povera gente”. Sempre con la Fonomeccanica nel 2013 abbiamo inciso un disco a cui tengo molto: “Che fine ha fatto la Fonomeccanica?”
“Ciao Grandeee!!” Dalla scaletta che porta al “sotto” della trattoria la voce inconfondibile del Milanese Imbruttito che è appena arrivato.
Ciao Germano, tutti conoscono il tuo personaggio ma pochi sanno come è nato. Ce lo racconti?
Il personaggio è stato creato da tre ragazzi non milanesi, Marco De Crescenzio, Tommaso Pozza e Federico Marisio che nel 2013 decidono di raccontare la città attraverso il linguaggio dei milanesi che alle loro orecchie “forestiere” risultava strano, particolare. Creano quindi su Facebook il personaggio del Milanese Imbruttito e il loro primo post “Il Milanese imbruttito non ha amici ma contatti” riceve 20 mila “like” in un solo weekend; in un anno sono oltre 500 mila gli iscritti alla loro pagina. Questo successo ha spinto il gruppo a dare un volto al personaggio per poi lanciarlo sul web. Il caso ha voluto che il portinaio dove avevano i loro studi li mettesse in contatto con i ragazzi del “Terzo segreto di Satira” per i quali io già lavoravo. Tra gli attori del “Terzo Segreto” scelsero me perché ero il più “milanese”
A chi ti sei ispirato per interpretare questo personaggio?
Il Milanese Imbruttito nasce in parte dai racconti di mio padre, nato in via Bordone nel 1933, della Milano del dopoguerra dove le conquiste del singolo, dall’acquisto di una bicicletta a un nuovo posto di lavoro, erano vissute con partecipazione e gioia da tutti gli amici del quartiere. La sua era poi una compagnia di personaggi incredibili, tutti con un grande amore per le donne. C’era il Conte, che si faceva prestare la camicia bella dal Michele, le scarpe belle da mio papà, i pantaloni belli dal Manina e andava in via Montenapoleone da Cova a broccolare le miliardarie; finchè, proprio da Cova, conosce e successivamente sposa una ragazza che si faceva prestare vestiti e scarpe dalle amiche. Sembra un film di Monicelli ma è tutto vero. Per dare movimento al mio personaggio mi sono inoltre ispirato al Be-bop, ballo veloce e ritmato che amava molto mio papà.
E poi c’è la Milano nevrotica di oggi…
Come cantava il grande Walter Valdi negli anni ‘60 “Milan, che prima anmò de vess ona città l’è ona manera de viv. De viv de corsa, de fa quaranta ròbb in ona vòlta”. Ancora oggi è così e io cerco di raccontarla attraverso il mio personaggio. Il milanese che entra nella sua auto è come se si calasse in una navicella spaziale che lo porta nell’”imbruttimento land”. Dura un secondo, accende il motore e da quel momento diventano tutti suoi nemici: gli altri automobilisti, i ciclisti, i pedoni. Vorrebbe che la strada si svuotasse solo per lui fino a quando ha trovato parcheggio. L’Imbruttito è un personaggio in costante performance, soprattutto nel lavoro. Dall’amministratore delegato alla partita Iva l’ obiettivo quotidiano è il fatturato. E più la responsabilità aumenta più è obbligato correre e i ritmi diventano h 4 e 7 giorni su 7, costantemente connessi alla rete. Non dico che tutto ciò sia giusto ma oggi la situazione è questa.”