La prima questione è quella del Seveso, che è tornato ad esondare creando non pochi problemi in particolare a chi vive nelle zone allagate, ma più in generale alla mobilità e alla viabilità. Ho letto, il giorno dopo, molti commenti che raccontano di una inerzia che dura da decenni e di una incapacità delle istituzioni di affrontare il problema. Io penso che non sia così e che questa lettura rischi di nascondere le reali responsabilità. Intanto sui livelli di inquinamento del torrente, il cui stato preoccupante è determinato dagli scarichi delle aziende che nessuno controlla. Il piano varato dallo scorso Governo ha consentito di ultimare le reti fognarie dei Comuni per impedire che gli scarichi civili vadano a sporcare le acque del Seveso, ma ora è necessario che Regione ed Arpa intervengano per censire ed impedire i versamenti altamente inquinanti delle aziende. Lo chiediamo da tempo con scarsi, se non nulli, risultati. Detto questo pulire il Seveso non è sufficiente. La tesi per cui se le acque fossero pulite non ci sarebbero problemi quando esondano è singolare, visto che comunque ci sarebbero danni nelle abitazioni e nei negozi allagati e che comunque verrebbero trascinati dall’acqua anche gli scarichi fognari. Bisogna quindi completare il piano previsto e finanziato nel programma di intervento varato nella scorsa legislatura. Si è già intervenuti per pulire ed aumentare la portata della parte chiusa e tombinato del torrente, si è completato l’allargamento dello scolmatore di nord ovest e si è predisposto un piano più efficace di gestione dell’emergenza. Cose utili per migliorare la situazione e ridurre la frequenza delle esondazioni, ma non per evitarle. Ciò che serve sono le vasche di laminazione i cui progetti nel tempo sono diventati sempre meno impattanti e che, se le acque saranno pulite, lo saranno ancora meno. Però i tempi di realizzazione di questi interventi sembrano infiniti, tra ricorsi e aziende assegnatarie dei lavori che falliscono. Ciò che doveva essere completato in tre anni è ancora da realizzare. E qui c’è una responsabilità precisa dell’attuale Governo che a inizio dello scorso anno ha deciso di cancellare l’Unità di Missione che aveva il compito e i poteri necessari per velocizzare le opere. Quindi, se oggi il piano previsto e approvato non si è ancora realizzato, se il Seveso resta uno dei corsi d’acqua più sporchi e se ancora nel giugno 2019 i cittadini devono subire i disagi e i danni delle esondazioni ci sono responsabilità precise. Quelle che ho cercato di riassumere. La seconda vicenda ha come epicentro Sesto S. Giovanni, ma riguarda anche il nostro territorio. Qui, nel nord Milano sorgevano grandi industrie e gli operai durante l’occupazione nazifascista diedero vita a scioperi importanti e ad azioni di Resistenza. Molti furono deportati nei campi di concentramento e molti di essi persero li la vita. Le storie di 11000 di quelle vittime sono state raccolte e archiviate dall’Aned (l’Associazione nazionale ex deportati) di Sesto e Monza in 20 anni di lavoro prezioso che oggi è punto di riferimento per tanti ricercatori italiani e stranieri. Ora il Comune di Sesto S. Giovanni ha deciso di vendere la palazzina di via dei Giardini in cui ha sede Aned insieme a molte altre associazioni, senza minimamente preoccuparsi del destino di quello che è un patrimonio prezioso della città medaglia d’oro della Resistenza. Di fronte a questa ennesima scelta miope e divisiva della Giunta Di Stefano si sta mobilitando una parte importante della città per difendere la propria storia e la propria identità. Su questo sono intervenuto al Senato, per chiedere al Governo di intervenire. Credo sia giusto non lasciare nulla di intentato per evitare lo sfratto dell’archivio, sperando che, anche nelle stanze dell’Amministrazione sestese, cominci ad entrare un po’ di buon senso. Ma la gravità di questa vicenda, oltre alla violenza che si fa alla storia e ai deportati politici, sta nella idea che ispira il Sindaco e i suoi Assessori. Quando l’assessore invita Aned a presentare un progetto che si occupi anche delle vittime dell’ 11 settembre vuol dire che ritiene che i deportati sono morti di sinistra mente quelli di New York sarebbero di destra. C’è una idea aberrante che esclude la convivenza civile ma riduce tutto a uno scontro ideologico senza fondamento in cui i deportati in quanto oppositori politici non sono persone che hanno pagato le loro battaglie di libertà e democrazia ma nemici perché collocati in un altro campo che non va bene, mentre i morti dell’11 settembre in quanto vittime del terrorismo islamico vanno bene. Così si alimentano solo odio, rancore, scontro e si demolisce una comunità.