“Dedicato a Niguarda”, un nuovo libro di Giovanni Poletti

“Nella vita capita di tutto e comunque… ma ci si salva se il nostro cuore abita a Niguarda”
Non abito a Niguarda, ma ho empatizzato subito con l’ultimo frutto di Giovanni Poletti scrittore perché nutro un affetto di lunga data per quella galassia irregolare di cortili, ringhiere, viali, ville, condomini, che di generazione in generazione si concentra lungo l’antica Comasina, fa come dei mulinelli attorno ai murales partigiani al suo ingresso, alle meraviglie di Villa Clerici, alle bandiere arcobaleno di via Hermada con il suo Teatro delle Cooperativa, alla piazza Belloveso dove c’è la chiesa, … e poi si dirada, poi si disperde nel grande parco. Giovanni Poletti in questa galassia ci abita da oltre cinquant’anni e il suo è amore a prima vista appena vi si trasferisce con la famiglia nuova di zecca. Abitava a Milano anche prima, ma Niguarda la sente diversa, gli sembra di averla già dentro da sempre, gli sembra che il suo sia un ritorno più che un trasloco. Giovanni Poletti ora conosce bene quella galassia, sa come si è formata, e ancor meglio sa come si è trasformata (grazie moltissimo alla Cooperativa che lui ha presieduto per tanto tempo), sa di cosa è fatta, sa di cosa è capace. E la galassia, ovviamente, ben conosce il suo Giovanni Poletti, da tempo una delle sue figure più significative. Il libro, poco più di cento velocissime pagine, è una continua testimonianza dell’amore del suo autore per questa unicum geografico e storico a lui noto in ogni suo angolo. Ma rappresenta anche un test rischioso che però l’autore è sicuro di vincere. Una specie di provocazione in cui questo oggetto d’amore viene sottoposto a una prova terribile per far vedere come reagisce, come va a finire… Sulla sua copertina, in effetti, c’è la foto (scattata dall’autore) del cortile interno di un casa di ringhiera, ovviamente di Niguarda, un titolo grandicello in giallo: “Dedicato a Niguarda”, un sottotitolo corsivo più piccolo, in bianco: “romanzo giallo”. È breve ma intenso, Tre storie una dentro l’altra. La prima è ovviamente quella che costituisce il nucleo “giallo”, cioè tragico e indagatorio al tempo stesso, della provocazione. La storia cioè di Santambrogio Marta detta Pina, di anni 90, porta ordini gappista del 43-44 (dettaglio assolutamente inconsueto in tutto il genere di qua e di là dell’oceano…) il cui assassinio orrendo nel suo lindo appartamentino di ringhiera in via Ornato, 5 dà vita, spessore e destino a tutto il racconto. La seconda è la storia delle indagini relative da parte del Commissario Gerolamo Menicucci che ben presto da Niguarda si spostano in Spagna e sulla Costa Azzurra perché l’orribile delitto di via Ornato è solo un dettaglio di una partita mondiale di crimini e di droga. La terza, infine, è la storia di un modello di vita e di convivenza, quello di Niguarda appunto, che tramuta lo sdegno per la morte della povera Pina non solo in dolore e solidarietà umana, ma anche in partecipazione fattiva e manesca alla caccia all’assassino. E anzi, di più, in collaborazione articolata e condivisa con le istituzioni che stanno indagando. Non manca, per alleggerire la tensione (e testimoniare il legame con le cose fondamentali della vita da parte dell’autore), il delizioso cammeo delle vicende sentimentali tra il commissario e la sua Flora. Ogni storia ha il suo posto nel cuore di Poletti. Ogni storia ha il suo linguaggio, la sua “atmosfera”. Corale, commossa, dolente la prima, dove in primo piano c’è sempre “la gente di Niguarda”. Le pagine del ritrovamento del corpo soffocato della povera Pina, in un crescente angosciante di chiamate, presentimenti, urla sempre più disperate. vetri rotti e porte sfondate a cui partecipa tutta la gente della ringhiera, sono tra le più forti e letterariamente più belle del libro. Assieme ad altre, però, che qui non vogliamo anticipare, che scandiscono a più riprese il racconto (…”La gente di Niguarda si muove”…) con momenti di autentico crescendo rossiniano. Ad accrescere patos ed azione anche l’emersione di un’altra importante figura niguardese. È quella forte e contraddittoria di Orlando Modena, il figlio della Pina, da tempo lontano e quasi disperso, ma causa involontaria di tutta la vicenda. Orlando ha fatto carriera in ambienti poco raccomandabili, ma ha sgarrato, ed ora cerca, ma non è facile, di nascondersi provocando attorno a sé, senza volerlo, delitti e terra bruciata. Tanto da ricevere il colpo finale proprio come conseguenza di una delle poche azioni delicate e generose della sua vita. La gente di Niguarda prima gli dà la caccia ma poi lo perdona e lo ricorderà con onore. La seconda storia, quella delle indagini, è minuziosa. Pignola. Poletti non ha problemi a seguire il suo commissario all’estero e ruoli e regole dell’azione poliziesca sono amorevolmente descritti. Non mancano, seguiti in diretta, i momenti di coraggio e di azione dove il commissario italiano, in missione e fresco di luna di miele, non si tira certamente indietro. Né mancano, facendoci sentire presenti, i campi lunghi negli uffici dove le polizie di mezza Europa inquadrano il delitto della innocente vecchietta di Niguarda nel più ampio e minaccioso contesto di un mondo criminoso della droga invisibile e onnipresente. Anche in questo come nel suo precedente lavoro (“L’ Olandese, il Carabiniere e il Convitato di pietra”) Poletti non si lascia sfuggire l’occasione per denunciare il radicamento diffuso e crescente sul territorio minuto come sullo scenario internazionale della malavita organizzata. Là era l’andrangheta, qui la mafia. Pacata infine l’atmosfera della terza anima del racconto, in chiara contiguità con la lunga esperienza politica ed organizzativa dell’autore. È la parte in cui la scommessa iniziale sulla tenuta di Niguarda a fronte dell’assalto portato ai suoi valori più sacri viene veramente vinta. Tradizione storica, stile di vita partecipata, strutture aggreganti ben presenti sul territorio (la Cooperativa, nello specifico), non solo forniscono occhi e braccia ai momenti più emozionanti del racconto, ma, complici la sagacia e l’umanità del commissario Menicucci, fanno a poco a poco breccia anche nei livelli più apicali delle forze dell’ordine. Confesso di avere riletto questo libro più volte, una per ognuna delle sue anime, commuovendomi e sorridendo ad ogni giro per motivi diversi. Il lettore niguardese farà a meno della piantina che io ho tenuto inizialmente vicino per meglio collocare i riferimenti precisissimi del racconto. Ma poi, a un certo punto, la cartina non serve più. Appena lo si chiude, “Dedicato a Niguarda” rapidamente si trasforma. I suoi dettagli, forse eccessivi, di pensieri, parole ed opere sfumano e dileguano. Niguarda diviene nella memoria luogo universale dove il cuore di ogni lettore vorrebbe abitare. Non perché abitato da angeli, anzi! Ma proprio perché metafora completa di ciò che è umanamente quotidiano e straordinario al tempo stesso. Non è il paradiso: mamma Pina vi viene uccisa e suo figlio Orlando, tutt’altro che eroe senza macchia, vi viene riaccolto e onorato dopo una fine atroce. Ma è il luogo dove non vi è solitudine vuota, il dolore non resta sterile, l’offesa non resta impunita, la minaccia del lupo non trova un gregge ma una comunità.