Ospedale di Niguarda 80 anni di impegno umanitario: Durante la Resistenza suore e infermiere salvano 40 antifascisti

Negli anni dell’occupazione nazifascista di Milano, dall’11 settembre 1943 al 25 aprile 1945 l’ospedale di Niguarda è stato centro di ricovero e di cura per soldati, partigiani, ebrei, detenuti politici. A seguito di un bombardamento aereo che distrusse l’infermeria del carcere di San Vittore, la divisione Ponti di Niguarda divenne l’infermeria delle carceri per i partigiani e detenuti politici più gravi. Era allora caposala di questo reparto suor Giovanna Mosna, medaglia d’oro della Resistenza che ebbe il grande merito di curare partigiani, perseguitati politici, inventando soluzioni di ogni genere per far fuggire gli ammalati, per trasmettere messaggi, per raccogliere confidenze. D’accordo con i medici, suor Giovanna organizzava terapie per rialzare le temperature febbrili, per aggravare fittiziamente casi clinici, in modo da guadagnare tempo e consentire le fughe degli antifascisi. Con le suore e i medici un ruolo importante ebbero le infermiere e gli infermieri: Lelia Minghini e Maria Peron (vedi foto). Maria Peron, ricercata dai nazifascisti, costretta a fuggire, sarà inviata a far parte delle formazioni partigiane nel Verbano e nell’Ossola, dove è rimasta fino alla liberazione come infermiera, non di rado come medico chirurgo. Il primo Comitato di Liberazione nazionale di Niguarda fu organizzato dalle infermiere e per l’interessamento di Giovanna Molteni e Maria Azzali. Le riunioni del Cln ospedaliero avvenivano spesso nella casa parrocchiale dove il parroco, mons. Macchi, aiutava e sosteneva tutte le iniziative antifasciste. Tra i partigiani e i condannati fatti fuggire – in tutto una quarantina – c’erano il comandante della Val di Toce Rino Pacchetti, Aldo Tortorella (fuggito vestito da donna), il dott. Tommasi, ebreo, dipendente dell’Ospedale Maggiore, arrestato come sovversivo, l’anarchico Salvatore Di Gaetano.