Comune di Milano: con il nuovo Piano di Governo la città è già proiettata al 2030

Il 14 ottobre Il Consiglio Comunale ha approvato, con 26 voti favorevoli e 12 contrari, il Piano di Governo del Territorio. Esso si pone 5 ambiziosi obiettivi e individua le strategie per raggiungerli.

1. Una città connessa, metropolitana e globale. La crescita urbana sarà legata allo sviluppo delle infrastrutture di trasporto pubblico, secondo una logica che vuole il numero maggiore possibile di persone vivere vicino a una fermata di trasporto pubblico. Il Piano individua 13 nodi di interscambio strategici da rigenerare: Comasina, Bovisa, Stephenson, Cascina Gobba, Centrale, Garibaldi, S. Donato, Rogoredo, Famagosta, Bisceglie, Lampugnano, Molino Dorino e Bonola.

2. Una città di opportunità, attrattiva e inclusiva. San Siro, Goccia-Bovisa, piazza d’Armi, Ronchetto, Porto di Mare e Rubattino sono le 6 aree che si svilupperanno a partire dall’insediamento di ospedali, impianti sportivi, parchi urbani, sedi amministrative. Fondamentale è la casa: il Piano incrementa la quota di edilizia sociale obbligatoria (negli interventi di oltre 10.000 mq di superficie), che passa dal 35% al 40%, di cui metà in vendita e metà in affitto. Una modifica mirata a calmierare i prezzi e offrire soluzioni per giovani e famiglie che non possono accedere al mercato libero.

3. Una città verde, vivibile e resiliente. Il nuovo Piano prevede la riduzione del consumo di suolo del 4% rispetto al Piano vigente, da ottenere attraverso il vincolo a uso agricolo di oltre 3 milioni di mq di aree, l’ampliamento del Parco Sud per circa 1,5 milioni di mq, la realizzazione del grande Parco Metropolitano attraverso la connessione ecologica tra il Parco Nord e il Parco Sud, la nascita di almeno 20 nuovi parchi e un piano di forestazione che porterà 3 milioni di nuovi alberi nella Città Metropolitana. Per quanto riguarda l’edificato, tutte le nuove costruzioni (anche in casi di demolizione e ricostruzione) dovranno essere a Zero CO2

4. Una città, 88 quartieri da chiamare per nome. Gli 88 quartieri di Milano verranno valorizzati attraverso la rigenerazione di piazze, spazi pubblici e offerta di servizi ai cittadini, con l’obiettivo di superare il divario territoriale e sociale tra centro e periferia, creando una città sempre più policentrica. Oltre alla riapertura dei Navigli e alla riqualificazione degli scali ferroviari, si individuano 7 piazze da rigenerare con interventi in grado di migliorarne la qualità progettuale, la pedonalità e l’attrattività: Loreto, Maciachini, Lotto, Romolo, Trento, Corvetto e Abbiategrasso.

5. Una città che si rigenera. Il Piano individua alcuni “Ambiti di Rigenerazione Urbana”, aree ai margini del territorio da valorizzare con interventi mirati al recupero del patrimonio edilizio degradato. Si prevede inoltre il recupero di 3mila alloggi di edilizia residenziale pubblica e la realizzazione di circa 1.300 alloggi a prezzi convenzionati in 9 aree della città, che si sommano ai 2.200 già previsti nell’ambito della riqualificazione degli scali ferroviari e ai 4.000 nei piani già approvati. Grande soddisfazione per l’approvazione di questo importante atto è stata espressa dal Sindaco Beppe Sala. “Sostenibilità ambientale, equità abitativa e attenzione alle periferie: questi sono i principi su cui si fonda la nostra visione per la Milano del 2030 e che stanno alla base del Piano di Governo del Territorio, a cui abbiamo dato il via libera definitivo oggi in Consiglio Comunale. Questo Pgt è un piano ambizioso, che affronta le sfide più impellenti per il futuro della nostra città, a partire dalla rigenerazione di alcune tra le piazze milanesi più importanti, da Loreto a Maciachini fino ad Abbiategrasso, e tredici stazioni ferroviarie, da Molino Dorino a Bovisa. Rispetto al verde, la principale novità riguarda la riduzione del 4% del consumo di suolo, vale a dire 1,5 milioni di metri quadri di aree sottratte all’edificazione. Per rispondere alla crescente esigenza abitativa, abbiamo individuato nove aree pubbliche dove vogliamo costruire nuove case ad affitti agevolati, incrementato la quota obbligatoria di alloggi a prezzi convenzionati e introdotto la possibilità di sforare il limite massimo dell’indice di edificazione, a patto che si costruiscano solo appartamenti in affitto o convenzionati. La principale novità introdotta dal Pgt per le periferie riguarda invece la forte riduzione dei costi per la riqualificazione degli immobili industriali. Il Piano prende vita in un momento tanto fondamentale quanto particolare per la città: Milano è sotto una lente di osservazione internazionale ed è un luogo in cui le persone scelgono sempre più di vivere. È nostro compito essere all’altezza di tutte le aspettative e con il Piano di Governo del Territorio ci poniamo questo obiettivo virtuoso. Venerdì 25 ottobre la Giunta del Comune di Milano ha deliberato l’ok per la convenzione con il Ministero dei Traporti che sbloccherà 900 milioni di euro per la realizzazione dell’opera mentre il 28 è stata la volta della Giunta della Regione Lombardia. E così possiamo dire che il prolungamento della Lilla è più vicino, anche se non si può dare nulla per scontato. Come scritto più volte, si tratta di un’opera strategica non solo per Milano ma per tutta la Lombardia che comporta un investimento pari a 1.265 milioni di euro, di cui 900 arriveranno dallo Stato, 283 dalla Regione, 37 dal Comune di Milano, 4.5 da Sesto San Giovanni, 13 da Cinisello Balsamo e 27.5 da Monza. Ci piace notare con soddisfazione che le firme che sbloccano l’iter di questa linea di trasporto pubblico è bipartisan. Claudia Terzi, assessore regionale ai Trasporti ha affermato: “La Regione è andata di corsa per sbloccare velocemente i fondi, ma tutto deve procedere celermente, monitoreremo l’iter con attenzione. Ogni attore in campo deve fare la sua parte affinché il territorio possa usufruire il prima possibile di un’infrastruttura fondamentale”. Marco Granelli, assessore ai Trasporti di Milano, condividendo la soddisfazione per le firme apposte in calce alla convezione, ha aggiunto: “Palazzo Marino ha dato il via libera alla sua parte di finanziamento venerdì 25 ottobre. E intanto si prosegue sulla elaborazione del progetto definitivo”. In attesa dell’apertura ufficiale del mega cantiere rammentiamo che il prolungamento della linea prevede la realizzazione di due importanti nodi d’interscambio modale, rispettivamente al futuro capolinea della linea rossa a Cinisello-Monza (Bettola) e a Monza FS con la rete ferroviaria, consentendo inoltre collegamenti rapidi con i principali poli di attrazione di Monza come il centro storico, il Parco di Monza, la Villa Reale, l’ospedale San Gerardo e il polo istituzionale. • Metro Milano-Seregno: più vicina alla realizzazione? Un passo avanti e due indietro. Fino ad oggi questo è stato l’iter burocratico per realizzare questa importante linea di trasporto pubblico attesa dal 2013 e di cui addirittura a volte si sono perse le tracce. Ora qualche speranza inizia a trasparire: le criticità, che stanno bloccando l’opera da un’eternità, sembrano prossime alla risoluzione. La Città Metropolitana, che sovraintende all’opera, ha comunicato di essere in dirittura d’arrivo per l’accordo con l’impresa Cmc, Cooperativa Muratori e Cementisti di Ravenna, aggiudicataria della gara d’appalto nel 2013. Siria Trezzi, delegata ai Trasporti della Città Metropolitana ha affermato: “Stiamo definendo tutti i punti critici e in molti casi sono state accolte anche le osservazioni avanzate dai Comuni. A fine ottobre dovremmo chiudere, in modo che il progetto possa essere licenziato e messo a disposizione di MM per le ultime verifiche”. Se così fosse si potrebbe giungere all’approvazione del progetto esecutivo entro la fine dell’anno così da poter avviare i cantieri la prossima primavera. Sulla strada della partenza dei cantieri resta da chiarire il nodo economico. L’appalto si rifà a valori contrattuali che risalgono al 2013 e visto che sono passati 6 anni i costi dovranno essere rivalutati; inoltre ci sono di mezzo alcune modifiche progettuali richieste dagli stessi Comuni. Anche da questo punto di vista Città Metropolitana assicura che i costi non saranno stravolti. Tuttavia è plausibile che qualche aumento ci sarà. Il 31 ottobre la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dal Comune di Bresso annullando la sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, che ne aveva bocciato il ricorso sulla “Via” (Valutazione di impatto ambientale) delle acque del Seveso nella vasca di laminazione, nel settembre 2017. E così, come lo scorso agosto per il Super Condominio di via Papa Giovanni XXIII, la Suprema corte rifila un secondo ceffone al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche accogliendo l’istanza del Municipio bressese dichiarando la sua legittimità ad agire contro l’invaso artificiale da 250mila metri cubici nel Parco Nord. E così si ricomincia da capo o quasi con l’iter burocratico per realizzare o non realizzare questo invaso. Come per la precedente sentenza non si sono fatte attendere le voci dei favorevoli e dei contrari all’invaso. Di certo questa situazione non sta portando alla risoluzione del problema delle esondazioni del Seveso, lasciando Niguarda, Pratocentenaro e Cà Granda in balia delle bizze climatiche. E ora? L’iter amministrativo ripartirà dal Tribunale Superiore che sarà chiamato ad esprimersi nel merito dell’impatto ambientale che la costruzione della vasca, con l’acqua del Seveso quando è in piena, provocherebbe sulla salute delle duemila persone del Super Condominio di via Papa Giovanni XXIII. A proposito di acqua inquinata, che è poi il fulcro di questa battaglia fatta a suon di carte bollate, ci piacerebbe capire che fine ha fatto l’inchiesta della Procura di Milano sugli scarichi abusivi che stanno ammazzando il Seveso, di fatto trasformato in una condotta fognaria. E ci piacerebbe sapere quali altri progetti hanno in serbo Comuni, Regione le altre Istituzioni coinvolte per ridare un po’ di dignità alle acque del nostro fiume. Rammentiamo che siamo sotto procedura di infrazione comunitaria perché non bonifichiamo le acque di molti corsi d’acqua tra cui il Seveso. Chiaramente questa sentenza della Cassazione è una vittoria per il Comune di Bresso, come ha sottolineato anche il sindaco Simone Cairo: “Con l’accoglimento da parte della Corte di Cassazione, il sindaco di Bresso è legittimato a ricorrere per tutelare la salute dei suoi cittadini. Tutto il procedimento si riapre. Però desidero che la politica trovi una soluzione a questa situazione: sono disponibile all’apertura di un tavolo di confronto con il Comune di Milano”. Di parere opposto il commento di Pierfrancesco Maran, assessore all’Urbanistica del Comune di Milano, che su Facebook ha dichiarato: “La cosa più facile quando c’è una esondazione è dare la colpa alla politica. Eppure per il Seveso abbiamo elaborato un piano, condiviso tra tutti gli enti, di vasche di laminazione che riducono drasticamente il rischio di esondazione. Grazie al Governo lo abbiamo finanziato e anche il Comune di Milano, unico comune in Italia, ha contribuito con 20 milioni. Eppure da allora non è successo quasi nulla e oggi una nuova doccia fredda: la Cassazione ha accolto (dopo 3 anni di ricorsi) quello del Comune di Bresso sul fatto che ha titolarità a fare ricorso. Non abbiamo perso nel merito, significa che ora il Tar dovrà esprimersi se le obiezioni di Bresso, che quindi è titolato a far ricorso, sono fondate nella sostanza. Dopo il Tar ci sarà di nuovo, probabilmente, sul merito sia Consiglio di Stato che Cassazione. Se nel merito non abbiamo perso, nella sostanza rischiamo di perdere ancora diversi anni. È una situazione frustrante per i cittadini che subiscono le esondazioni, ma vi garantisco che lo è anche per noi che facciamo politica perché ci piacerebbe cambiare le cose”. Il 20 novembre ci sarà una nuova udienza del processo per i morti d’amianto alla Scala. Il giudice nell’udienza del 16 ottobre ha cancellato tutte le udienze previste per dicembre per la mancanza di aule giudiziarie e per il sovraccarico dei giudici sotto organico. Il ritardo come sempre avvantaggia solo i dirigenti del Teatro imputati e accusati di omicidio colposo per la morte di 10 lavoratori che avrebbero respirato le fibre killer al Piermarini, prima delle bonifiche dei locali, ma non ferma la prescrizione che corre con il rischio di lasciare impuniti gli assassini. Nelle ultime udienze sono stati ascoltati come testimoni i lavoratori del teatro. I loro racconti sono stati concordi nel riferire le condizioni concrete del lavoro, che prevedevano l’uso di attrezzature costituite da amianto (in particolare il sipario e le coperte antincendio) o che ne contenevano in modo significativo. L’amianto era diffuso anche nella struttura del teatro, e le bonifiche sono avvenute in fasi successive all’entrata in vigore della legge che proibiva l’uso dell’amianto, come la volta della platea avvenuta nel 2010. Dalle testimonianze è emerso un dato sconcertante: per anni i lavoratori sono stati esposti all’amianto, senza avere le dovute informazioni sui rischi e senza i dovuti dispositivi di protezione, sia personali che ambientali. Quando nel 1991 il grande sipario ignifugo (detto “pattona”) si ruppe precipitando rovinosamente, i lavoratori furono costretti a un intervento di emergenza a mani nude. Le testimonianze dei lavoratori e familiari delle vittime stanno facendo emergere gravi responsabilità penali a carico della Direzione del Teatro. Il 16 ottobre hanno testimoniato Debora Caterina e Alessandro Asta, figli di Demetrio Asta, attrezzista, macchinista e siparista del Teatro alla Scala, morto nel 2015 di asbestosi, malattia polmonare tipica dell’esposizione all’amianto. Hanno raccontato del padre che era “addetto all’apertura del sipario in velluto sempre impregnato di polvere”. E ancora: “Da quando è stata diagnosticata la malattia a papà, che all’epoca aveva 63 anni, la sua qualità della vita è peggiorata notevolmente, con continui ricoveri in ospedale”. Rilevante anche la testimonianza in aula di Marcello Menegatti, figlio della corista lirica Luciana Patelli, morta nel 2013 di mesotelioma pleurico. “Quando tornava a casa, si lamentava del fatto che sul palco, soprattutto nei pressi della cosiddetta pattona (una parte del sipario) c’era moltissima polvere”. Dal processo sta emergendo un quadro preoccupante: per anni i lavoratori sono stati esposti all’amianto senza avere le dovute informazioni sui rischi