Chissà se nella decisione della famiglia Zhang, attuale proprietaria dell’Inter, di ingaggiare Antonio Conte, ex allenatore della Juventus e della nazionale, abbia influito un minimo di scaramanzia, ricordando ciò che accadde proprio un secolo fa, nella stagione 1919-20 (vedi foto). Come raccontato nell’interessante libro di Federico Pistone, “Inter 1908-2008 un secolo di passione nerazzurra”, il presidente di allora Giorgio Hulls ingaggiò proprio in quella stagione due tecnici, Francesco Mauro e Nino Resegotti, già allenatore della Juventus e nello staff tecnico della nazionale. Il risultato fu la vittoria del secondo scudetto della storia nerazzurra. È il primo campionato che si disputa dopo la fine della prima guerra mondiale che ha provocato 15 milioni di morti di cui quasi settecentomila italiani. Il conflitto è pagato a caro prezzo anche dal nostro calcio, provocando un buco nero di oltre quattro anni e un immane contributo di vittime. L’Internazionale, come racconta Pistone, lascerà alla patria 25 uomini tra dirigenti e calciatori: non torneranno a casa, tra gli altri, Giulio Bavastro, Giuseppe Caimi e il capitano Virgilio Fossati, primo idolo dei tifosi nerazzurri, ucciso nelle trincee di Monfalcone a 26 anni. Il suo corpo non è mai stato ritrovato. Anche le altre società escono a pezzi dal conflitto: il Milan piangerà 12 lutti. Il 4 novembre 1918 la battaglia di Vittorio Veneto mette fine al primo conflitto mondiale ma ci vorrà ancora quasi un anno per riprendere a giocare. A ottobre del 1919, pochi mesi dopo la Fondazione dei Fasci di combattimento da parte di Benito Mussolini, torna il campionato. C’è una totale incertezza sulle forze in campo, quelle che la guerra ha risparmiato. Una disorientata federazione accoglie l’iscrizione di 67 squadre, molte delle quali di livello imbarazzante. La stagione dura otto mesi, quasi a voler recuperare il tempo perduto. Ben 19 partecipanti sono lombarde, 12 le piemontesi, 6 liguri, 6 venete, 5 emiliane. Tutte le altre rappresentano il Centro-sud che, a sorpresa, laurea il Livorno come finalista. Ma il campionato vero è quello settentrionale. L’Inter gioca al campo di via Goldoni, ancora semidistrutto dai bombardamenti ma in ricostruzione grazie alle sottoscrizioni popolari. L’organico si basa su campioni ormai affermati: il portiere Campelli, il milanese Schleider, i tre fratelli Cevenini (Cevenini III segnerà 23 gol) e la micidiale “strana coppia” d’attacco Aebi (20 gol)-Agradi (17 gol). Nella squadra nerazzurra trova spazio anche Pino Fossati, che è la copia carbone del fratello Virgilio, a cui i nerazzurri dedicheranno ogni vittoria. C’è poi un nome nuovo destinato a regalare all’Inter fantasia e concretezza insieme: è quello di Leopoldo Conti, uno dei più raffinati palleggiatori della storia del calcio. Dopo aver dominato il girone lombardo (8 vittorie e 2 pareggi, 42 reti realizzate e 13 subite) l’Inter affronta nella seconda fase Torino, Bologna, Novara, Andrea Doria ed Enotria Goliardo. Alla prima giornata batte il temibile Torino per 4-0 e si aggiudica il girone con 3 punti di distacco su Bologna e Novara qualificandosi per la finale a 3 con Juventus e Genoa. La Federazione si rende conto tardivamente che il campionato sta durando troppo e decide di abolire sfide di andata e ritorno e fa disputare le gare con partita secca e su campo neutro. Battendo 1-0 (gol di Aebi) la Juventus a Genova il 23 maggio 1920 e pareggiando con il Genoa 1-1 a Modena, il 6 giugno 1920 i nerazzurri vincono il campionato settentrionale. C’è ancora da disputare l’ultimo spareggio con la vincente del girone centro-meridionale, il Livorno, ma la Federazione e i giornali anticipano l’assegnazione del titolo all’Inter, a dieci anni esatti dalla prima conquista. Il 20 giugno 1920 sul vecchio campo dello Sterlino di Bologna si gioca la finale conclusiva, snobbata da autorità e organi di informazione, per l’esito scontato a favore dell’Inter. I nerazzurri, sostenuti da un massiccio gruppo di tifosi giunti da Milano, sbrigano la pratica già nel primo tempo, chiuso 3-0 con la doppietta di Agradi e il gol di Aebi, tutti ispirati dal genio di Cevenini III. A dimostrazione della natura genetica della “Pazza Inter” che conosciamo oggi la partita non è finita. Il Livorno nella ripresa ha una reazione inattesa: segna con Magnozzi il 3-1 e nel finale Campelli combina l’unico pasticcio della sua stagione, con un goffo autogol su staffilata dello stesso Magnozzi. Ma è solo un brivido: l’Inter vince 3-2 e conquista il titolo.