Parlane con me, Paola Chilò, la tua naturopata Prenditi cura del tuo benessere psico/fisico chiedendo un consiglio, scrivi a naturopaki@gmail.com • Ballo e osteoporosi si puo? “Ho 68 anni e ho una considerevole osteoporosi, da quando l’ho saputo ho un po’ paura a muovermi. Mio figlio invece e anche i medici mi consigliano di fare ginnastica, ma con l’età mi sono impigrita. Non riesco a trovare una ginnastica che mi piaccia, da giovane invece amavo ballare. Secondo lei potrebbe andare ancora bene? Ci sono pericoli?” Gemma B. Vero è, cara Gemma, che se si fa una vita troppo sedentaria e ci si sente “legati” e imprigionati in un timore di muoversi, vivendo giornate per lo più noiose e ripetitive, anche i pochi stimoli vengono meno. Ci si incastra in un circolo vizioso e anche il corpo stesso ne risente. In effetti il movimento è molto adeguato per chi soffre di osteoporosi, proprio al fine di ristabilire un giusto equilibrio fra i vari elementi mineralizzanti che circolano nel nostro corpo. Movimento e stasi sono in perfetta armonia proprio come la “costruzione e la distruzione” ossea. Ma ci vuole anche il divertimento e ballare è una delle attività fisiche più idonee a questo scopo. Ricominciare da qui è un’ottima soluzione che le procurerà dei miglioramenti su tanti fronti. Le consiglio inoltre 30 gocce al giorno di estratto di Equiseto, che è una pianta ricchissima di silicio, grande rimineralizzante osseo. • Al lavoro sono bloccata e il mio colon è peggiorato “Lavoro in una ditta a conduzione famigliare. Da un lato questo per me è positivo, dall’altro il rapporto troppo personale con i capi mi crea turbamento e frustrazione. Le mie iniziative vengono spesso bloccate e mi sento costantemente giudicata. Ho sempre sofferto di colite, ma ultimamente i disturbi sono insopportabili e non so cosa fare, pensa possa essere collegato al mio disagio? E come porvi rimedio? Grazie della gentile risposta.” Stefania G. È evidente che il tema della libertà e l’eccessivo controllo che metti in atto quotidianamente per mantenere una certa armonia (solo apparente però), con l’ambiente di lavoro, si riflettono nello stato di salute del tuo colon. L’intestino è strettamente collegato con le nostre parti istintive più profonde ed anche con la creatività che non esprimiamo al meglio. In questo caso la parte creativa viene bloccata e la sensazione è di “non vivere“ davvero tutto ciò che potremmo essere. Ti consiglio quindi di cercare, al di fuori del lavoro, un ambito in cui puoi dare sfogo liberamente alle tue passioni. Ritrova un hobby creativo, una passione antica messa da parte e tuffati pienamente nella forza creatrice che c’è in te. Libera per prima la tua testa dai giudizi e prendi 50 gocce al mattino e 50 gocce alla sera di Ficus Carica, un rimedio per le coliti da stress! Aspettando le vostre email, vi auguro Buone Feste e vi ricordo che potete regalare a un vostro caro una seduta di consulenza alimentare, un test delle intolleranze, oppure un riequilibrio psicosomatico. u Rubrica interattiva per voi lettori Rubrica interattiva per voi lettori Care lettrici, cari lettori, vorrei fare a tutti gli auguri di buone feste! In modo speciale a tutti quelli che vivono il dolore vorrei essere una piccola farfalla bianca che, nei giorni gelidi, si posa sul davanzale portando nei cuori tanta serenità. Perché ha scritto nel titolo: continua la storia? Perché, dopo otto anni, sono ritornata nella casa della famiglia Beria per fare gli auguri alla signora Angela che, il 18 dicembre, compie 100 anni. Vive con Margherita, una donna ucraina, e con l’amore dei figli. Ha problemi alle gambe e vive sulla carrozzina. Mi sorride e desidera che prenda un caffè con lei. Le faccio i complimenti perché il suo viso e le sue mani sono vellutati. Mi dice il figlio che prende solo tre pastiglie al giorno e Margherita dice: “La signora Angela è una donna di grande generosità, quando mangia il tiramisù lo divide a metà e me lo offre”. Ritorniamo a 8 anni fa, quando ero andata a fare gli auguri a suo marito Attilio per i suoi cento anni. Il figlio mi dice che papà ha vissuto fino a 103 anni. Ricordo l’incontro, era il primo centenario “Uomo” che Zona Franca intervistava. Il signor Attilio nasce a Cortelona (Pavia) il 3.10.1911. Inizia a lavorare a 14 anni come muratore per poi essere assunto nel 1938 all’Atm ove guida il tram 14 rimanendovi fino alla pensione. Ma c’è la Grande Guerra. A 20 anni presta 18 mesi di servizio militare a Torino. Nel 1935 finisce in Abissinia. Non è una terra ospitale: fa un gran caldo o un gran freddo, ci sono malattie sconosciute in Italia e lui se le prende tutte: la malaria e l’ameba, un microbo che porta al deperimento organico. Nel 1936 rientra in Italia e rimane in ospedale 40 giorni. Nel marzo 1940 sposa Angela e lo stesso anno, l’8 dicembre, viene richiamato e parte per il fronte, tra l’Albania e la Grecia, dove rimane per 3 anni. Incontra persone che segnano la sua vita, gli amici commilitoni, gli albanesi che vivono vicino al campo militare e, soprattutto, un bambino di nome Suffiet che si affeziona talmente ai soldati da vivere praticamente con loro dentro il campo. Dall’Albania viene trasferito in Germania dove rimane prigioniero nel campo di concentramento di Dortmund per due anni. Lo salvano la tempra, il coraggio, la fede in Dio e, soprattutto, la bravura nel lavoro di muratore, di cui i tedeschi hanno bisogno per ricostruire ciò che i bombardamenti hanno distrutto. Di ricordi del tempo di guerra il signor Attilio ne ha tanti, tra cui spicca quello della S. Messa il giorno di Natale con un frate comboniano in Abissinia. Ma c’è un episodio che vive sempre nei ricordi, legato al campo di concentramento. Lo racconta con una forte emozione: “Tutti lavoravamo, la maggior parte usciva al mattino dal campo per andare in fabbrica e rientrava alla sera. Io facevo parte di una squadra di muratori: eravamo in sette e io ero il capo squadra. Al campo c’era sempre da fare per noi. Il poco cibo era una brodaglia. Nelle baracche c’erano letti a castello a 4 posti, io dormivo sotto. Un giorno bombardarono il campo e le baracche della cucina furono distrutte. Ci mettemmo subito a lavorare per costruire una nuova baracca per la cucina. Prima di tutto si doveva togliere le macerie, ma con stupore e gioia di tutti sotto trovammo un “tesoro”: patate, carote e rape. Quando la fame è tanta c’è solo una risposta, e tutti d’accordo si decise che ogni sera, sotto le macerie dell’ultimo secchio da buttare, si nascondeva qualche patata, una rapa e un paio di carote che finivano sotto il mio letto in un sacco di cemento. Alla sera si abbrustolivano due patate, una rapa e si mangiava tutti. Ma una mattina un soldato delle SS entrò per una perlustrazione e quando arrivò al mio letto sollevò il materasso e trovò il sacchetto. Uscì e ritornò poco dopo con il capitano delle SS che, a sua volta, si mise a urlare. Dopo un po’ tutti i prigionieri erano sull’attenti nel campo. Mi sentivo perduto, le SS non scherzavano. Con noi c’era anche un sacerdote napoletano, Don Giuseppe. Gli chiesi se poteva fare qualcosa. Nulla si poteva fare perché il sacco era sotto al mio letto e quindi ero colpevole. I tedeschi dovevano dare l’esempio: dovevano punirmi. Il capitano delle SS chiese perché avevo le patate e il resto. Dissi:” Il nostro è un lavoro pericoloso. Siamo sempre sul tetto e se non si mangia gira la testa e si cade. Io ho preso le patate per dare da mangiare alla mia squadra”. Il capitano chiamò tutti gli altri della squadra e chiese a ciascuno se era vero quello che avevo detto e se avevano mangiato pure loro. Tutti confermarono ciò che avevo detto. Bastava che solo uno avesse negato ed io sarei stato fucilato. Il capitano rimase a pensare. C’era silenzio in tutto il campo. Poi fece segno di proseguire a lavorare”. Il sig. Attilio mi guarda e prosegue: “Poteva uccidermi per dare l’esempio agli altri. Forse è vero, sotto una divisa tanti erano soldati. Ma tanti sono sempre rimasti “prima uomini”. Al signor Attilio è stato conferito lo Zonino d’Oro nel 2011. È il momento dei saluti: la signora Angela ripete guardandomi: “Mi sembra già di conoscerla… venga ancora a trovarmi”.