Gianni Mura: il ricordo di una lezione memorabile (Derby) 

Questo non sarà un coccodrillo. Non ce n’è bisogno. Sappiamo tutti quanto fosse grande Gianni Mura. E quanto ci mancherà.
Il mio vuole essere solo un ricordo, una testimonianza di quando l’ho conosciuto e soprattutto della grande lezione che mi ha dato.
Era il 1° dicembre 2005 e alla Mondadori di via Marghera presentavamo Centonovantesimi. Le cento partite indimenticabili del calcio italiano, scritto a sei mani da Alberto Figliolia, Davide Grassi e dal sottoscritto. Mura, caso strano perché non amava mostrarsi in pubblico, aveva accettato di venire insieme a Sandro Mazzola, Giovanni Lodetti e al poeta Franco Loi.
Un parterre de roi, insomma, tanto che la sala era gremita. Bisognava iniziare, ed io commisi l’errore di propormi per rompere il ghiaccio. Un gesto azzardato, perché secondo logica e carattere sarebbe stato opportuno che aprisse il poeta Alberto Figliolia, che ha un’ottima eloquenza ed era anche abituato a parlare in pubblico. Ma lui mi disse di cominciare, ed io cominciai perché mi sentivo felice: del libro appena uscito, degli ospiti prestigiosi, di tutto.
Sì, ebbi un momento di esaltazione. E lo pagai. Perché ero alle prime armi come protagonista di questi eventi e di conseguenza assolutamente  impreparato a sostenere l’emozione. Infatti, fu un mezzo disastro. Il discorso che avevo mentalmente preparato si sgretolò davanti a tutti quei visi sconosciuti che mi si paravano davanti. E invece di presentare il libro, mi incistai sul rapporto di amicizia che c’era tra noi tre, su come fosse bello scrivere: come se potesse importare a qualcuno! Non solo: parlai troppo in fretta e per cercare – ingenuamente  – di mostrarmi “adeguato” e di accattivarmi il pubblico ripetei alcune volte il termine gossip, che in realtà non avevo mai utilizzato in vita mia ma andava molto di moda.
Mura era seduto, anzi praticamente sdraiato nella poltrona vicino a me. Non batté ciglio. Ma quando arrivò il suo turno disse subito: “Io non so se posso andare d’accordo con uno che pronuncia tre volte la parola gossip…”.
Nella sala piombò il gelo. Davvero, ci fu un silenzio innaturale. Mi aveva fatto cadere sulla testa la spada di Damocle. E pure io, dopo i primi tre secondi che mi occorsero per capire, restai senza fiato. Per provare a recuperare, alle fine del suo intervento, mi rivolsi a lui sussurrandogli un insensato “guardi che scherzavo”, che ottenne come risposta un serio ma ironicissimo: “Anch’io…”.
Per qualche tempo, lo ammetto, fui infuriato con lui. Smisi perfino di leggere i suoi articoli che avevo sempre divorato. Ma la volta successiva che dovetti presentare un libro in pubblico presi le mie precauzioni: buttai giù i passaggi più importanti dell’intervento da sbirciare in caso di necessità, mi concentrai su qualche aspetto curioso del testo, ne lessi dei brani. E tutto andò bene. La lezione di Mura era stata tosta, ma mi era servita.
Lo incontrai ancora nel 2010, in occasione della festa al Teatro Franco Parenti per l’80° compleanno di Franco Loi. Come curatore della biografia del grande poeta ebbi l’onore di parlare e di stare vicino a lui sul palco. Quando la serata si concluse e la gente cominciò a sciamare, mi ritrovai davanti Mura. Aveva uno sguardo bellissimo, quasi estasiato, perché un attore aveva appena finito di recitare delle poesie di Loi che lui amava profondamente. Io mi avvicinai salutandolo e non resistetti alla tentazione di chiedergli se si ricordava dell’episodio della Mondadori: “Le figuracce che si fanno in pubblico sono le migliori, perché non si scordano mai…”, mi rispose.
Vero, verissimo. E così ancora adesso, prima di intervenire di fronte a persone che non conosco, mi viene in mente lui, Gianni Mura, che mi invita alla sobrietà, alla precisione, al rispetto della lingua.
Per sempre grazie. A lui. E a quel maledetto gossip.