CORONAVIRUS/AGGIORNAMENTO 20 aprile – Il punto sull’emergenza sanitaria in Lombardia: intervista esclusiva a Fabio Pizzul,capogruppo in Regione del Pd

Oltre 66mila contagi e oltre 12mila decessi: una drammatica emergenza sanitaria sul nostro territorio. Facciamo il punto sulla vicenda con la seguente intervista in esclusiva per “Zona Nove” a Fabio Pizzul, capogruppo in Regione Lombardia del Partito Democratico.
• Esattamente due mesi fa, il 20 febbraio 2020, si palesava il primo contagiato di Covid-19 a Codogno. Sembra sia passata un’era geologica, visto lo stravolgimento delle nostre vite. Da allora nella nostra Regione ci sono stati oltre 66mila casi accertati e oltre 12mila decessi. Sono numeri che fanno paura, che richiamano a una guerra. Secondo lei come mai la nostra comunità sta pagando un peso così drammaticamente alto?  Anche Piemonte, Veneto ed Emilia sono state toccate pesantemente dal virus ma i dati della Lombardia, almeno dal punto di vista dei decessi, non ha eguali al mondo.
Nessuno conosceva davvero questo virus e siamo stati colti di sorpresa. La diffusione dell’epidemia è cominciata, molto probabilmente, ben prima del 20 febbraio e la scoperta del primo caso è avvenuta mentre il virus circolava già da qualche tempo. Detto questo, in Lombardia gli ospedali sono diventati luoghi di amplificazione dell’epidemia perché non sono stati protetti a sufficienza fin dai primi giorni. È mancata anche la sanità territoriale con un controllo effettivo dei contagiati e dei loro contatti sul territorio: molti malati neppure hanno saputo di esserlo e si sono sentiti abbandonati a casa propria. La Lombardia ha fatto troppo pochi tamponi e quasi solo in ospedale, questo non ha consentito di avere alcuna certezza sulla diffusione effettiva dell’epidemia e sul numero dei contagiati. Gli ospedali hanno dovuto fronteggiare (con un impegno commovente) un’ondata senza precedenti di accessi ai Pronto Soccorso e alle terapie intensive. Molti esperti ci hanno detto, spesso con il senno di poi, che Covid-19 si tratta in ospedale, ma si può fermare solo sul territorio. Questo in Lombardia non è stato fatto.
• Si susseguono le polemiche politiche, lo scarico di responsabilità, le conferenze stampa e le apertura di inchieste della Magistratura, perché è sempre bene ricordarlo i processi si fanno nei tribunali. La politica però può e deve fare le sue analisi per capire cosa non ha funzionato e cosa si può e si deve fare per migliorare la gestione della complessa macchina sanitaria regionale. I partiti di opposizione che siedono al Pirellone hanno raccolto le firme per istituire una commissione di inchiesta su quanto avvenuto nella gestione dell’emergenza Covid-19, che è peraltro tutt’altro che superata. Ci spiega il significato di questa scelta politica, quali sono le finalità e come si svilupperanno i lavori di questa commissione? Esaminerete anche la vicenda dell’Ospedale temporaneo in Fiera e cercherete di capire come mai si segnalano tanti malati e deceduti fra il personale sanitario ospedaliero e territoriale?
La Commissione d’inchiesta ha l’obiettivo di capire che cosa non ha funzionato in Regione Lombardia. L’elevatissimo numero di vittime, soprattutto in rapporto con altre zone d’Italia e d’Europa va spiegato e ne vanno comprese le ragioni. La Commissione non ha poteri di indagine, ma può acquisire tutti i documenti prodotti dal sistema regionale e ascoltare i responsabili dei diversi livelli territoriali della sanità. Nessun processo, dunque, ma la necessità di fare chiarezza sulle disposizioni date e le procedure attivate. Esisteva un Piano pandemico regionale risalente al 2010, che fina ha fatto, come è stato applicato? La Commissione non intende individuare colpevoli, non è suo compito, ma capire fino in fondo come sono andate le cose. Sull’ospedale della Fiera faremo tutti gli approfondimenti necessari. L’idea di Fontana che fosse la chiave per risolvere l’emergenza si è dimostrata completamente fuori dalla realtà. Dai 600 posti iniziali annunciati in tandem da Gallera e Fontana si è arrivati a realizzarne 200 che, al momento, non servono. La struttura in Fiera è comunque imponente e praticamente finita, non si può certo pensare di smontarla a breve, potrebbe essere una risorsa molto preziosa in caso di non auspicabili ritorni dell’epidemia o per togliere pazienti Covid-19 dagli altri ospedali che devono il prima possibile tornare alla propria attività ordinaria.
 Da decenni chi governa la nostra Regione elogia un giorno si e l’altro pure l’eccellenza della sanità lombarda. Premesso che dal punto di vista ospedaliero si possono annoverare veri e propri fiori all’occhiello fra i nostri nosocomi, l’Ospedale Niguarda è risultato il 47esimo miglior ospedale al mondo sulla base di una classifica di un’importante testata giornalistica americana; il San Matteo di Pavia sta facendo un grande lavoro sulla pandemia; il Sacco è, insieme allo Spallanzani di Roma, centro di riferimento nazionale sulle malattie infettive, tanto per fare qualche esempio. Pare però di capire che la sanità in Lombardia sia ospedale-centrica anche perché ha smantellato i presidi territoriali, ha sminuito il ruolo dei Mmg e tutti gli altri servizi e strutture che concorrono a creare un efficace ed efficiente sistema sanitario. Qual è il suo punto di vista?
Gli ospedali lombardi offrono, senza alcun dubbio, un servizio di grande qualità. Come sempre accade, abbiamo punte di eccellenza internazionale e altre situazioni in cui i problemi non mancano. Anche in occasione dell’emergenza Covid-19 la risposta ospedaliera è stata di grande rilevanza, soprattutto per il grande impegno di coloro che ci lavorano. Rimane da chiarire il perché in pochi giorni ci sia trovati con tutti gli ospedali della Lombardia invasi dal virus, mentre sarebbe stato logico tentare di salvaguardare ospedali e reparti dall’infezione e concentrare i pazienti in zone specifiche degli stessi. Anche gli ospedali sono stati colti di sorpresa: la contagiosità di Covid-19 è molto più alta rispetto a quello che si credeva e anche gli effetti sui malati più gravi sono pesanti e diffusi. Il problema è quello di prevenire la diffusione e di intervenire nelle fasi iniziali e meno pesanti dell’eventuale malattia. Questo non si può fare in ospedale, ma lo si fa sul territorio. I medici di base si sono sentiti abbandonati (non avevano neppure le mascherine) e solo a fine marzo Regione Lombardia ha attivato le Unità Speciali di Continuità Assistenziale (Usca). Confidare solo sugli ospedali è stato un errore, ma in Lombardia, per come è stato organizzato il sistema (che va ripensato profondamente) non si è potuto fare altro.
• Premesso che, come già ribadito, i processi per accertare eventuali responsabilità si fanno nei tribunali, si stanno aprendo commissioni d’inchiesta anche su quanto è successo nelle Rsa, che in questi due mesi si sono trasformate in cimiteri: una è quella che riguarda il Pio Albergo Trivulzio e l’altra riguarda invece altre 15 Rsa. Fermo restando che si dovrà attendere la conclusione de lavori di questi organi di vigilanza, da quanto emerso fino ad ora dai documenti e dalle notizie pubblicate, che idea si è fatto su questa vicenda?
Il gruppo regionale del Partito Democratico ha denunciato fin dall’inizio di marzo il pericolo che le Rsa diventassero dei luoghi ideali per la diffusione del virus e il rischio che gli anziani ospiti fossero esposti a un rischio gravissimo. Anche in questo caso ci si è mossi tardi e si è sottovalutato il rischio. Anche solo pensare di poter spostare malati di Covid-19 nelle Rsa è un errore grave e Regione Lombardia, seppur raccomandando di tenerli separati, lo ha commesso. L’esigenza di decongestionare gli ospedali a inizio marzo era reale, ma non era possibile farlo mettendo a rischio gli anziani. È possibile che il virus non sia entrato nelle Rsa attraverso i pazienti spostati dagli ospedali, ma sono mancate indicazioni e procedure per proteggere queste strutture. È inaccettabile, poi, che la Regione apra un’inchiesta sulle Rsa: sembra quasi che intenda scaricare le responsabilità sui gestori e sugli operatori mentre avrebbe dovuto dare indicazioni precise e vincolanti per proteggere questi ambienti. Chi ha lavorato in queste settimane nelle Rsa ha fatto di tutto per stare accanto agli anziani, spesso senza avere le protezioni necessarie. Se ci sono colpe vanno individuate, ma non scarichiamo sugli operatori e sui gestori  le responsabilità di chi doveva dar loro indicazioni e non sembra averlo fatto in maniera chiara.
• Da due mesi la nostra vita non è più la stessa. Siamo chiusi in casa e non sappiamo ancora quando la Lombardia, il cuore pulsante del Paese e uno dei più importanti centri industriali, finanziari e dei servizi in Europa, potrà rimettersi in moto. Anche su questo aspetto la Giunta Fontana pare un po’ in confusione perché un giorno dice una cosa e il giorno dopo l’esatto contrario. Cosa sta facendo Regione Lombardia per farsi trovare pronta quando Governo e Istituzioni sanitarie diranno che il peggio è passato e, con le dovute cautele, si potrà ripartire?
Il presidente Fontana e la sua Giunta non hanno mai dato l’impressione di avere un progetto e una strategia per la gestione dell’epidemia, hanno inseguito il virus più che tentare di fermarlo. Così, mi pare, sta accadendo anche per la Fase 2: non bastano quattro parole con la D (Distanziamento, Dispositivi, Diagnosi e Digitalizzazione) per ripartire in sicurezza, ci vuole un progetto organico e procedure studiate nei minimi dettagli. Fino ad ora non abbiamo visto nulla di tutto questo, ma solo la voglia di lasciarsi alle spalle una gestione sanitaria che ha mostrato, per essere gentili, grandi lacune. Riaprire senza avere sotto controllo la situazione dell’epidemia (attraverso l’uso intrecciato di tamponi, test sierologici e app di tracciamento del contagio) e senza dare indicazioni precise a cittadini e imprese rischia di essere un salto nel buio. Da Fontana si sono sentite tante parole, ma non c’è stata alcuna indicazione riguardo un possibile progetto per la ripartenza. Dal mio punto di vista è necessario ripartire appena possibile, ma bisogna sapere come farlo. Mi auguro che il presidente Fontana e i suoi la smettano di fare polemiche con Roma e si siedano al tavolo nazionale portando idee e contributi concreti per la ripresa. Da sola la Lombardia rischia solo di creare ulteriori problemi ai suoi cittadini.
• Superato questo incubo, secondo lei è giunto il momento di sedersi intorno al tavolo per ripensare al modello sanitario lombardo? Domanda secca con risposta secca: questa pandemia non ha dimostrato che non ha senso avere in Italia 21 sistemi sanitari regionali diversi?
La riforma della legge 23 del 2015, ovvero della legge sanitaria regionale, è urgente e necessaria. Quanto alla gestione frammentata della sanità, personalmente credo che sia giusto che l’organizzazione della sanità risponda alle esigenze dei diversi territori: il sistema sanitario deve essere uno, ma le risposte che offre devono tenere conto delle peculiarità delle diverse zone del nostro Paese. Il dibattito e, soprattutto, le polemiche tra Governo e Regioni non mi appassionano. Una cosa è certa, quando sento parlare di ricentralizzazione come se fosse la soluzione di tutti i problemi, forse anche per le mie origini friulane, non mi sento molto a mio agio.