CORONAVIRUS/AGGIORNAMENTO 8 aprile: Ma chi è questo virus, cosa fa e come si può conviverci? Risponde il “nostro” biologo Stefano Morara

Abbiamo chiesto un’opinione al dott. Stefano Morara, biologo ricercatore residente nel nostro Municipio 9 e anche presidente dell’Associazione Civitas Virtus di Niguarda, riguardo al Coronavirus e alle sue mutazioni e conseguenze, dal punto di vista scientifico e sociale.

Un virus: nel caso del nostro Coronavirus, un filamento di circa 30.000 mattoncini che scrivono le parole per costruire i pezzi del suo contenitore. Questi pezzi (proteine) riconoscono serrature specifiche sulla superficie di cellule della specie che sta “predando”: batteri, piante o animali. A ciascuno il suo. Il filamento entra nella cellula, ne utilizza le macchine per creare copie di sé e per far leggere le parole scritte per produrre le proteine. I nuovi filamenti si circondano dei vari pezzi ed escono dalla cellula, spesso uccidendola: devono andare in giro ad infettarne altre per replicarsi! Nel caso di organismi “pluricellulari” (come gli animali), i nuovi virus infettano altre cellule dello stesso ospite, oppure escono dall’organismo per invaderne altri della stessa specie. Il gioco finisce quando, negli animali, il sistema immunitario costruisce gli anticorpi che lo bloccano. È su questo che si basa l’isolamento, unico mezzo per sconfiggere un virus nuovo per la specie: questi non riescono a trovare un altro organismo da invadere e dopo che gli anticorpi sono entrati in azione, non possono più replicarsi neppure dentro all’ospite (è così che funzionano i vaccini). Un gioco che dura da quando è nata la vita sulla terra, ben prima della comparsa dell’uomo. Il rapporto con la “preda” tende quasi sempre all’equilibrio: se il virus uccidesse tutti i suoi ospiti, morirebbe anche lui. Ma le cose non sono così semplici. I virus (in particolare quelli a RNA, come questo) hanno una grande capacità di cambiamento: il più comune è che ad ogni replicazione, uno o più mattoncini (basi azotate: le lettere delle parole che diventeranno proteine) possono cambiare. Le nuove proteine possono non funzionare, funzionare come prima, oppure acquisire nuove capacità: come quella di invadere nuove specie animali. Con la biologia molecolare è facile identificare tutte le lettere e tracciare i vari passaggi: è così che è stata mostrata l’origine del nostro Coronavirus, da quelli che albergano nei pipistrelli. Ma per i virus il salto verso la specie umana è diventato una manna: quale altra specie è diventata così diffusa e numerosa? Anche gli uomini preistorici interagivano con animali selvatici ed erano oggetto di zoonosi (il salto dei virus dagli animali all’uomo) ma, essendo troppo pochi, la diffusione veniva limitata naturalmente. Ora, invece, un virus può viaggiare in tutto il mondo in prima classe in poche ore. E nelle metropoli può infettare migliaia di persone in qualche settimana. Studiando biologia si impara presto che i salti di specie sono sempre avvenuti e sempre avverranno e si impara a temere mutazioni che aumentino contagiosità e letalità, ma ad un disastro tale nessuno era veramente preparato. Nel momento in cui scrivo, metà della popolazione mondiale sta subendo una qualche forma di restrizione ai movimenti per diminuire il contagio. C’è da dubitare che questo virus possa essere completamente eliminato: come nel caso di suo cugino (quello dell’influenza) è possibile che continui a mutare, così da impedire che il vaccino, pur importantissimo, diventi un’arma letale. E non si sa come lo combatteranno gli antivirali sotto test. Ancor peggio, il nostro continuo “espanderci” continuerà a favorire nuovi salti di specie. Le conoscenze scientifiche ci doteranno di armi sempre nuove, ma da un altro lato diventeremo più vulnerabili perché lo sviluppo sembra indebolire il nostro sistema immunitario: ipotesi ben supportate spiegano l’aumento di malattie autoimmuni (come la sclerosi multipla) con l’aumento dell’igiene (che fa diminuire le “esperienze” al sistema immunitario durante lo sviluppo). Inoltre, diverse delle nuove molecole che creiamo e disperdiamo nell’ambiente (gli “inquinanti”) interferiscono con le funzioni del sistema immunitario. Se le dittature e i paesi dove c’è una forte pressione della società sull’individuo sembrano un po’ più preparati ad affrontare questa emergenza, in generale le democrazie liberali lo sono poco. La maggioranza delle altre democrazie sta adottando misure che ricalcano o hanno preso spunto da quelle dell’Italia (abbiamo fatto scuola), ma sta anche commettendo molti nostri errori (i ritardi). Una pandemia è la tipica situazione in cui buona parte delle risorse per combattere il “nemico” dipende dalla responsabilità individuale, da come il singolo cittadino incarna in sé la necessità del bene comune: è la limitazione individuale della propria libertà di movimento l’arma più efficace. Ma se lo Stato (quello democratico, non autoritario) non è credibile né autorevole, come può il cittadino farsi carico del problema? Esiste poi anche la questione della “ripartenza”: Quando? Come? È spiegato da tutti che quanto più è lungo il fermo delle attività, tanto maggiore sarà il numero delle aziende che non ripartiranno. Quindi licenziamenti. Ma la storia delle epidemie ha mostrato che se si riparte quando c’è ancora tanto virus in giro, è la pandemia a ripartire più di prima. Allora, ripartire solo con dispositivi di protezione? (obbligatorio distribuirli!). Solo per soggetti immunizzati? (fare prima i test!). Solo attività che riescono a mantenere la sicurezza? (i sindacati devono vigilare!). Nessuno ha risposte semplici. Quando usciremo da questa emergenza, una lezione che forse potremo avere imparato è di pretendere uno Stato che si dimostri all’altezza, credibile ed autorevole. E, tra le “piccole cose”, un sistema sanitario di base diffuso nel territorio (invece che concentrato sul sistema ospedaliero delle eccellenze) … anche per prepararci meglio alla prossima eventuale pandemia.