Il Fioretto di Zorro: Perché la Lombardia ha rischiato di perdere la sfida?

Perché, nel contrasto al Coronavirus, la Lombardia, considerata da alcuni la regione meglio attrezzata d’talia in campo sanitario, non è stata all’altezza della situazione, anzi ha sfiorato il fallimento? Una débacle evidente se esaminiamo le cifre di marzo, su cui si è basato uno studio di tre professori italiani della prestigiosa Università americana di Harvard. I dati sono molto chiari: in Veneto i contagiati sono stati 8.358 mentre in Lombardia hanno superato i 41.000; in Emilia-Romagna gli ospedalizzati sono stati 4.102, in Lombardia 12.941. Soprattutto, in Lombardia si sono registrati 6.360 deceduti, contro i soli 392 del Veneto e i 1.443 dell’Emilia-Romagna.
Come è stato possibile? Prima di tutto, in Lombardia per contrastare l’emergenza del Coronavirus si è puntato esclusivamente sull’ospedalizzazione di massa piuttosto che sull’assistenza domiciliare (come ha fatto l’Emilia con un sistema basato su diagnosi in loco e assistenza domiciliare al di fuori delle strutture ospedaliere) o sui tamponi a tappeto tra la popolazione (la scelta del Veneto). Due pratiche talmente efficaci che lo studio di Harvard può affermare: “In Lombardia non esiste un progetto comune che colleghi territorio e ospedale. È quindi necessario passare con urgenza da modelli di assistenza centrati sul paziente a un approccio basato sul sistema comunitario che offra soluzioni per l’intera popolazione (con un’enfasi specifica sull’assistenza domiciliare)”. Opposto anche il sistema di protezione degli operatori sanitari, cui Veneto ed Emilia hanno subito assicurato mascherine, camici, guanti e tamponi per controllare l’eventuale contagio, mentre in Lombardia a tutt’oggi infermieri, medici e medici di base si ritrovano spesso privi degli strumenti minimi di difesa. Tanto che gli ospedali si sono trasformati in centri di diffusione del virus, come nella Bergamasca e nel Bresciano. Un’analisi e una denuncia condivise dai medici di famiglia. Spiega Massimo Siffredi, medico di medicina generale della nostra zona: “Non ha funzionato l’aver ridotto negli anni i posti letto e il numero degli ospedali. Non aver mantenuto negli anni un controllo costante del territorio tramite i medici di medicina generale. In pratica non sono stati messi in sicurezza né la popolazione né il personale sanitario e questo ci ha impedito di visitare i pazienti a domicilio”.
Un quadro desolante del sistema sanitario pubblico lombardo, le cui responsabilità non vanno ricercate solo nell’attuale dilettantesca gestione ma in vent’anni di una politica di tagli finanziari e di posti letto per la Sanità pubblica sempre sottomessa agli interessi di quella privata. Ricordiamocelo la prossima volta quando dovremo scegliere fra farsi curare dopo mesi e mesi di lista d’attesa in una struttura pubblica o farsi servire in tempi certi, ma pagando un bel po’ di euro sull’unghia, da una clinica privata, pardon “convenzionata”.