Le mille note di Rivera

Su Gianni Rivera si è scritto tutto. Della sua immensa classe, del suo rapporto con il Paròn Nereo Rocco, del suo essere – per qualcuno – un abatino, del suo gol in Italia-Germania 4-3, della sua coraggiosa ribellione contro gli arbitri che continuavano a tartassare un povero Milan (e che gli costò parecchie giornate di squalifica). E così via, fino all’abbandono del calcio e alla carriera politica. Perciò, volendo festeggiare gli ottanta anni di uno dei più grandi giocatori italiani senza essere ripetitivi, abbiamo pensato di pubblicare un racconto a lui dedicato e contenuto nel libro Il derby della Madonnina (A. Figliolia, D. Grassi e M. Raimondi, Book Time, 2014) e intitolato Le mille note di Rivera.
A rivederlo oggi fa quasi con tenerezza. Così esile, con quelle gambe sottili, lontane anni luce dai muscoli culturisti di tanti suoi colleghi di oggi. Il 20 novembre 1960 fu il giorno del primo derby di Gianni Rivera, il giocatore che ha lasciato il suo segno nella storia milanista più di ogni altro. Fu il suo esordio a rendere quel derby un pezzo di storia del calcio. Qui mi fermo perché mi rendo conto di scivolare già nel banale, nel già detto. D’altronde, su di lui si è scritto tutto e il contrario di tutto ed è difficile essere originali. Dovrei forse ricordare di nuovo la storia dello scetticismo di alcuni di fronte alle sue spalle gracili? O il suo rapporto speciale con il Paròn Rocco? No, sono già stati versati fiumi d’inchiostro sull’argomento. Proverò a essere originale. Quando Rivera iniziò a giocare nel Milan stava per iniziare il periodo d’oro della musica giovanile. E Lui, il Golden Boy, se si potesse trasformare in note sul pentagramma, che tipo di musica sarebbe? Nel suo derby d’esordio si potrebbe forse paragonare ai primi Beatles: ancora acerbi, ragazzini, ma che già facevano intravedere classe da vendere. Con quella faccia da bravo ragazzo che piaceva anche alle mamme sembrava più Paul McCartney, ma dentro di lui covava anche uno spirito ribelle, più alla John Lennon.
Con il tempo, il suo gioco acquisì sempre più forza e personalità. No, non direi il rock-blues dei Rolling Stones, forse più adatti a uno come Pierino Prati, e neanche l’hard-rock di Led Zeppelin e Deep Purple, roba da gente dura, alla Romeo Benetti. Gianni aveva un tocco sognante e fiabesco, cesellato da passaggi maestosi. Ecco, forse i primi Genesis potrebbero fare al caso nostro, con i loro delicati ricami classicheggianti. E magari anche i Pink Floyd. Con il tempo Rivera perse forse qualcosa in leggerezza, ma divenne sempre più un perfetto direttore d’orchestra, capace di tocchi a volte magari anche un po’ barocchi. Diventò insomma una suite degli Yes o degli Emerson Lake & Palmer, a volta incline al narcisismo, ma sempre maestosa. A fine carriera, poi, il dinamismo proprio del rock quasi scomparve per lasciare nuda la perfezione tecnica, la purezza della composizione. Ecco, negli ultimi anni il gioco di Rivera si trasformò in una sinfonia di Mozart: musica raffinata, classica, per intenditori. Immortale.
Per la cronaca, il derby d’esordio del compositore d’Alessandria fu poco fortunato. I nerazzurri prevalsero con la rete di un difensore, il grande Armando Picchi, con un bel rasoterra da fuori area.
Rivera, con i capelli che sembravano scolpiti dal vento e la maglia rossonera a strisce larghe che gli cadeva un po’ addosso, fece intravedere qualche timido colpo di classe, niente di più. D’altronde, era solo alle prime note sul pentagramma. Ben presto, il Von Karajan di San Siro avrebbe preso la bacchetta in mano. Per dirigere, come nessun altro prima, l’orchestra rossonera.
San Siro, 20 novembre 1960: VIII giornata del campionato 1960-61
Milan-Inter 0-1 (0-1)
Milan: Ghezzi, Zagatti, Trebbi, Salvadore, Maldini, Trapattoni, Vernazza, Rivera, Altafini, David, Maraschi. All. Todeschini. D. T. Viani.
Inter: Buffon, Picchi, Fongaro, Bolchi, Guarneri, Balleri, Morbello, Firmani, Angelillo, Lindskog, Corso. All. Helenio Herrera.
Arbitro: Adami di Roma.
Rete: 44’ Picchi.